2014-03-15 14:07:03

Siria, tre anni fa l'inizio del conflitto. La Croce Rossa: cibo e medicine priorità assolute


Tre anni fa iniziava il conflitto in Siria, trasformatosi presto in una sanguinosa guerra civile: alcune stime, non ufficiali, parlano di 146 mila morti, due milioni e mezzo di rifugiati, mentre 9 milioni di persone hanno urgente bisogno di assistenza. Tra esercito governativo e ribelli, continua la battaglia per il controllo delle aree strategiche del Paese: le truppe regolari sono entrate nelle scorse ore a Yabroud, località a nord di Damasco, finora in mano ai ribelli. Il servizio di Davide Maggiore:RealAudioMP3

Dall’aria il bombardamento degli elicotteri, da terra l’avanzata dell’esercito, affiancato da elementi degli Hezbollah libanesi, che si scontrano con i ribelli islamisti di Al Nusra e con i qaedisti dello Stato islamico d’Iraq e del Levante. Così attivisti d’opposizione descrivono i combattimenti in corso a Yabroud: conquistare la città vicina alla frontiera libanese per le forze di Assad significherebbe impedire ai ribelli di ricevere qualsiasi rifornimento da oltre confine e allo stesso tempo prendere il controllo dell’autostrada che unisce Aleppo e Damasco alla costa, roccaforte degli alawiti. Fonti militari parlano di una fuga dei ribelli e, secondo gli attivisti anti-regime, sarebbe rimasto ucciso nei combattimenti uno dei comandanti locali di al-Nusra, Abu Azzam al Kuwaiti. Le stesse fonti riferiscono che l’uomo sarebbe stato uno dei negoziatori nelle trattative per la liberazione delle suore di Maaloula, avvenuta la scorsa settimana. Sul fronte politico, mentre da parte governativa si pensa anche alla campagna elettorale per il prossimo voto presidenziale, la Coalizione nazionale siriana, principale raggruppamento dell’opposizione all’estero, chiede che si facciano “pressioni sul regime affinché smetta di colpire i civili e acconsenta a un processo di transizione”.

Dal punto di vista umanitario, la situazione resta preoccupante anche nella capitale Damasco. Lo spiega Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana, nell’intervista di Luca Collodi:RealAudioMP3

R. – C’è una finta normalità che regna a Damasco. Non si sente più il rumore di artiglieria ma in realtà, come si esce dal centro città e si arriva nella periferia, le immagini cambiano completamente: palazzi distrutti, abbandonati o occupati dai rifugiati. Gli sfollati interni hanno raggiunto i sei milioni e vivono senza elettricità, né acqua corrente. È la prima volta che ho provato su di me veramente il peso della vergogna, dell’assenza della comunità internazionale.

D. – Quali sono i bisogni reali della popolazione?

R. – Stiamo raggiungendo mensilmente, in questo momento, circa 600 mila famiglie, che equivale a circa tre milioni di persone. Ma i bisogni sono pari al doppio: cibo e medicine sono sicuramente la priorità assoluta. Poi, per i bambini aggiungerei la serenità: sono stati strappati dalle loro case in maniera violenta e sono accompagnati quotidianamente dai rumori della guerra. Abbiamo la responsabilità, anche per il futuro, di aiutare a ricostruire un clima sociale di convivenza. Così rischia di alimentarsi soltanto un clima di rabbia e di risentimento. Quello che noi ci aspettiamo è un’implementazione, da entrambe le parti in conflitto, della possibilità di accesso per gli aiuti umanitari. Vorrei ricordare che ci sono aree in cui ancora oggi l’accesso non è consentito: abbiamo provato a visitare ed entrare a Yarmuk – campo palestinese vicino Damasco – dove sono sotto assedio 20 mila persone, di cui circa cinquemila sono bambini e dove sono, inoltre, morte 120 persone di fame. È una tragedia nella tragedia che si sta consumando.

D. – Lei ha detto che sul piano umanitario si registra un abbandono un disinteresse dei grandi Paesi occidentali. È così?

R. – Sì, nel senso che la risposta che mi posso immaginare potrebbe arrivare, ma come? Abbiamo fatto conferenze, abbiamo cercato aiuti ma il problema è di accompagnare l’azione umanitaria concretamente. Ci sono partner con cui noi entriamo in azione tutti i giorni – parlo anche come Italia – su cui dobbiamo spendere una parola importante perché la responsabilità non è soltanto dei sirian,i ma anche di chi è armato e di chi sostiene tutto quello che sta avvenendo.

D. – Le zone cristiane hanno un minimo di normalità, o sono sotto attacco anch’esse?

R. – In questo momento, sono apparentemente in quella tregua di cui parlavamo prima, ma a Maalula ed in altre zone l’accesso è ancora difficile. È sempre una situazione in divenire, in cui non c’è mai certezza degli aiuti. Quindi, è l’intera comunità – quella cristiana, quella sunnita e sciita – a essere interessata. Non c’è una comunità in particolare che stia soffrendo di più o di meno.

D. – Tra l’altro, ci sono persone che sembrano essere ancora in mano a sequestratori anche da un punto di vista religioso, di sacerdoti… Quindi, una situazione caotica anche da questo punto di vista…

R. – Questo è quello a cui mi riferivo prima. Sicuramente, in questo conflitto c’è anche una esasperazione del radicalismo religioso che non fa mai bene e porta a queste violenze assolutamente ingiustificabili.







All the contents on this site are copyrighted ©.