Italia ed Etiopia insieme contro le malattie. Inaugurato l'unico ospedale del nord-ovest
del Tigray
E’ stato inaugurato, nei giorni scorsi, a Sheraro, cittadina dell’Etiopia al confine
con l’Eritrea, l’unico ospedale nel nord-ovest della regione del Tigray. L’iniziativa
è stata finanziata grazie al lascito di Mario Maiani, un veterinario italiano che
ha sempre lottato per sconfiggere le povertà. La struttura che serve 50mila persone,
100mila nella stagione delle piogge, sarà punto di riferimento anche per i campi profughi
dell'area. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Aldo Morrone,
direttore generale dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma, in prima
linea nella realizzazione del nosocomio:
R. – Si tratta
del dono dovuto alla generosità di un italiano bravissimo, il dr. Mario Maiani, veterinario
di Grosseto, che ha voluto dare gran parte delle sue risorse finanziarie per un progetto
che restituisse vita, salute e dignità ad una popolazione tradizionalmente povera
e colpita dalla guerra, al confine tra l’Eritrea e l’Etiopia: abbiamo costruito un
ospedale da 100 posti letto che può essere utilizzato sia dagli eritrei, sia dagli
etiopici anche come segno di pace, che abbiamo inaugurato pochi giorni fa.
D.
– Qual è la condizione di vita delle persone in quella parte del Tigray?
R.
– E’ una delle più drammatiche a livello globale: c’è un’aspettativa di vita alla
nascita molto bassa, una mortalità materno-infantile molto alta; stiamo cercando di
raggiungere gli Obiettivi del Millennio indicati dall’Organizzazione mondiale della
sanità, in modo tale da ridurre le grandi malattie – l’aids, la malaria, la tubercolosi
–, la denutrizione e restituire effettivamente la possibilità di salute e di dignità
ad una popolazione che per 10-11 mesi all’anno è priva di acqua, priva di piogge …
La zona è anche semidesertica per cui è anche difficile coltivare cibo. E’ una situazione
drammatica. In più, aggravata dal fatto che c’è una presenza molto elevata di profughi
dall’Eritrea.
D. – Come la popolazione ha accolto questa struttura?
R.
– C’è stata una vera festa di popolo. Oltre 10 mila persone hanno partecipato – donne,
bambini, anziani, quei pochi che ci sono – una grande festa di popolo per un dono
che aspettavano da tantissimo tempo in risposta ad una reale necessità. Devo dire
che io sono stato più volte, durante la costruzione dell’ospedale, a Sheraro, e ogni
volta era una festa. Questa è stata straordinaria perché il giorno dopo l’inaugurazione
è partita immediatamente la prima attività chirurgica, sono stati eseguiti i primi
parti cesarei, sono nati i primi bambini … Quindi, c’era nell’aria un clima straordinario.
C’è una comunità cristiana copto-ortodossa che ha benedetto questo dono e ha ringraziato
Dio per questa opportunità che le è stata data.
D. – Gli operatori della struttura
sono tutti locali? Continua il legame tra Italia ed Etiopia?
R. – Tutto personale
locale: medici, infermieri, ostetriche, amministrativi, in modo tale da dare anche
un’opportunità di occupazione e di sviluppo economico all’area. La nostra attività
sarà quella di continuare una sorta di tutoraggio, soprattutto nei primi anni, di
verifica dei risultati dell’attività e di aggiornare il personale sulle tecniche più
moderne. E’ un’area dove anche le apparecchiature mancano: noi abbiamo fatto già una
lunga formazione sull’attività delle camere operatorie, sull’attività dell’ostetricia
e della ginecologia proprio perché le apparecchiature potessero poi essere utilizzate
nel modo migliore.
D. – Questa iniziativa dimostra che non bisogna scoraggiarsi
nemmeno in periodi di grande crisi …
R. – Credo che uno dei segnali di voler
uscire dalle grandi crisi internazionali finanziarie ed economiche sia esattamente
quella di investire in tre grandi settori che possono essere poi forieri di sviluppo
e di ritorno ad una vita normale, che sono il settore dell’istruzione e il settore
del sociale, del welfare, e il settore della sanità e della salute. E’ stata una scommessa
straordinaria vinta insieme, etiopici e italiani, ma devo dire anche con l’aiuto di
molti colleghi internazionali; è stata anche la scommessa della generosità di un uomo
che ha creduto di poter cambiare la vita di alcune persone dando quella parte di aiuto
che poteva dare. E sono convinto che questo sia un esempio che vada seguito, se davvero
crediamo che la tutela della salute sia un diritto universale.