Al quarto anno di scontri non si intravede alcuna soluzione al conflitto civile siriano.
Preoccupanti i recenti rapporti di agenzie dell’Onu e di Amnesty International, che
sottolineano come le violenze stiano coinvolgendo drammaticamente sempre di più civili,
in particolare i minori. Ce ne parla Marina Calculli:
L’assedio di
Yarmuk, il campo profughi palestinesi alle porte di Damasco, continua. Il campo aveva
già fatto parlare di sé qualche settimana fa quando una foto che racchiudeva una fila
interminabile di persone in coda per avere una razione di cibo aveva fatto il giro
del web. Ora Amnesty International afferma: “Asad usa la fame come strumento di assedio,
impedendo l’ingresso di cibo e aiuti umanitari nel campo”. Oltre 200 civili sono morti
per mancanza di cibo. Nel frattempo anche ‘Save the Children’ dipinge un quadro fosco
della situazione sanitaria. Vestiti vecchi usati come garze, gente che preferisce
farsi stordire a colpi di botte in testa prima di un’operazione, perché non esistono
più prodotti anestetici. In molti, inoltre, sono morti per trasfusioni di sangue non
compatibile e le stesse trasfusioni vengono fatte da persona a paziente per l’assenza
di elettricità. Secondo la Syrian American Medical Association, 200.000 persone sono
già morte di malattie croniche e per mancanza di accesso ai trattamenti. Su questo
sfondo drammatico, Assad ha introdotto ieri una clausola sulla legge che regola le
elezioni del presidente della Repubblica prossima: ogni candidato deve aver risieduto
in Siria almeno negli ultimi dieci anni per potersi candidare: un modo, neanche troppo
sottile, per estromettere molti dissidenti.
Dopo essere rientrate a Damasco
le tredici suore ortodosse liberate alcuni giorni fa alla frontiera siro-libanese,
hanno ribadito di essere state trattate bene dai loro rapitori. Sollievo per il felice
esito della vicenda esprime il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari,
intervistato da Francesca Sabatinelli:
R. - È stato
un sollievo e una soddisfazione generale, una schiarita in questo periodo così nuvoloso
che non lascia ancora intravedere la luce dell’uscita da questo tunnel. È stata una
notizia che ci aspettavamo, pregavamo per la liberazione di queste religiose che erano
tenute in ostaggio dall’inizio di dicembre. Attualmente, le religiose si trovano a
Damasco. Questa sera ci sarà un incontro di preghiera (nella chiesa greco-ortodossa
della Santa Croce, Damasco - ndr) per rendere grazie al Signore per questo esito felice.
D.
- Al sollievo per la liberazione delle suore si alterna ovviamente il pensiero che
va a tutte le altre persone ancora nelle mani dei sequestratori…
R. - Speriamo
che questa bella notizia, che ha portato una soddisfazione generale, possa aprire
la porta anche per la liberazione dei due vescovi ortodossi - dei quali fra poche
settimane ricorrerà un anno da quando sono stati presi in ostaggio - e che possa aprire
anche la porta alla liberazione dei tre preti, tra cui Paolo Dall’Oglio, gesuita,
e anche dei tanti altri sequestrati, sia siriani che stranieri.
D. - Fanno
sperare le dichiarazioni delle suore che hanno sottolineato di essere state sempre
trattate con attenzione da parte dei rapitori?
R. - Sì, questo si sapeva. Il
caso di queste religiose ortodosse è un po’ diverso dagli altri: già dall’inizio era
possibile avere comunicazioni, si sapeva dov’erano, in una casa messa a disposizione
da un cristiano: c’era quindi questo collegamento. Naturalmente, c’era sempre un po’
di ansia, aumentata in queste ultime settimane perché quella zona, la cittadina di
Yabroud, ultimamente era diventata teatro di aspri combattimenti tra l’esercito siriano
e questi gruppi di ribelli. Si temeva per la loro incolumità, ma grazie a Dio ieri
è arrivata questa bella notizia e così sono state liberate.