Siria. “Acs”: la minoranza cristiana è la più esposta ai rapimenti
Finalmente libere le suore scomparse più di tre mesi fa dal convento ortodosso di
Maalula, a nord ovest di Damasco. Le religiose si trovano ora in Libano in attesa
di ritornare in Siria. La notizia è stata accolta con gioia da tutta la comunità cristiana
che aveva seguito con apprensione la vicenda. Anche Papa Francesco, nell’udienza generale
del 4 dicembre scorso, aveva chiesto la loro liberazione. Il servizio di Marina
Calculli:
Sono arrivate
ieri nel tardo pomeriggio in Libano le 13 suore libanesi, rapite all’inizio di dicembre
scorso nel loro convento di Santa Tecla a Maaloula, in Siria, assieme a 3 cameriere.
Ad accoglierle è stato un convoglio di 30 macchine giunto ad Arsal, la località libanese
nella valle della Beqaa dove sono state rilasciate le suore. In cambio il regime di
Bashar al-Asad libererà 153 attiviste antigovernative rinchiuse nelle carceri siriane.
Le religiose sono state trattenute nelle montagne della zona di Qalamun dalla “Jabhat
al-Nusra”, una delle principali milizie islamiste che in Siria combattono contro il
regime di Damasco. Le suore, in realtà, sono sempre rimaste in contatto con i rappresentanti
della chiesa ortodossa siriana e hanno sempre confermato la versione della “Jahbat
al-Nusra”: non un rapimento ma una custodia. Pare che a condurre la negoziazione per
il rilascio delle religiose sia stata da un lato l’intelligence libanese, più vicina
al regime siriano, e dall’altra il Qatar, uno dei protettori e finanziatori della
Jabhat al-Nusra.
Su questa attesa liberazione delle suore di Maalula, Alessandro
Gisotti ha raccolto il commento di Marta Petrosillo, portavoce dell’Associazione
“Aiuto alla Chiesa che Soffre”:
R. – E’ veramente
una notizia meravigliosa! Nel mese scorso si era detto che i negoziatori avevano perso
le tracce delle 13 suore rapite e poi, questo tweet annunciato da al Arabiya che diceva
che sarebebro state liberate a breve, poche ore prima dell’annuncio ufficiale della
liberazione. E’ una notizia che ovviamente noi di “Aiuto alla Chiesa che soffre” accogliamo
con gioia, e speriamo che si possano risolvere anche tante altre questioni che ci
sono molto a cuore, in Siria, in particolare quella di padre Dall’Oglio e dei due
vescovi di Aleppo, rapiti nello scorso aprile.
D. – Quella dei rapimenti è
proprio una delle piaghe che si accompagna a questa terribile guerra civile in Siria:
è un’altra realtà molto grave …
R. – Assolutamente! E’ una realtà molto grave
e giustamente poco conosciuta, perché i casi sono moltissimi e colpiscono in particolar
modo la minoranza cristiana, che essendo debole è anche più esposta a questo tipo
di situazioni. Abbiamo moltissimi casi di rapimenti per riscatto e moltissimi casi
si risolvono molto male.
D. – Questa vicenda dice anche dell’impegno della
Chiesa, dei religiosi come dei laici, in Siria, che non vanno via e che poi rischiano
sulla propria pelle queste conseguenze …
R. – Sicuramente. Ci sono stati tantissimi
annunci, tantissimo impegno da parte della Chiesa tutta, in particolare del patriarca
Béchara Raï, del nunzio, mons. Zenari … E’ vero: la Chiesa in Siria per i cristiani,
ma non solo per i cristiani, è proprio l’unico punto fermo. Abbiamo tantissime testimonianze
da diverse città della Siria e ci dicono che senza la Chiesa i cristiani, i fedeli
sarebbero persi. E c’è da testimoniare che non solo i cristiani beneficiano della
presenza della Chiesa, del sostegno della Chiesa: abbiamo tante realtà cattoliche,
come la Caritas, come il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, che sostengono tutta
la popolazione: oltre l’80 per cento dei casi assistiti non sono cristiani.