Omicidi in famiglia. Mons. Rolla (Lecco): Dio non è lontano da questi drammi
Sconcerto nell’opinione pubblica per i recenti e drammatici fatti di cronaca in ambito
familiare. L’ultima tragedia avvenuta a Lecco, e sulle prime pagine di tutti i giornali,
ha suscitato sentimenti di smarrimento e d'impotenza. L’arcidiocesi di Milano ha invitato
alla preghiera. Ma cosa può dire la fede di fronte a queste tragedie? Paolo Ondarza
lo ha chiesto a mons. Maurizio Rolla, vicario episcopale per la zona pastorale
di Lecco:
R. – E’ una
domanda tagliente… La fede non sta dopo queste cose, la fede sta prima.
Non si può pensare che anche queste tragedie non abbiano una misericordia, un perdono,
una pacificazione: il Signore non è sordo, il Signore non è cieco, il Signore non
è lontano. Io questa cosa la dico, anche se magari la gente dice: “Parole, parole
al vento…”. A me non pare. Perché altrimenti continuiamo a parlare di fede, continuiamo
a dire che Dio è con noi tutti i giorni e poi, quando ci sono queste cose qui, sparisce
tutto? E allora, di fronte alla tragedia, di fronte alla Croce il Signore ci ha detto:
“E’ da qui che attiro il mondo, è qui che si capisce cosa vale un uomo, cosa vale
una donna”. Ecco, noi cristiani forse non abbiamo questa percezione profonda di annunciare
che il Cristo è Colui che mette nelle tragedie o nelle cose più turpi, da cui scaturisce
un’impotenza tragica, quel segno di dignità e quel segno di somiglianza all’amore
di Dio che non permette di trovarci paurosi o addirittura angosciati e abbattuti da
ciò che sta avvenendo.
D. – Cosa dire sulla solitudine esistenziale che spesso
caratterizza tragedie come queste?
R. – Questa cosa ci interroga e qualche
responsabilità sicuramente noi, che siamo vicini, l’abbiamo. D’altra parte, c’è anche
una percezione di solitudine che talvolta non è comprensibile oppure non si riesce
ad intercettare. Questa forse è la nostra precarietà, che dobbiamo accettare: talvolta
siamo proprio impotenti, ma non perché vogliamo essere impotenti o perché non vogliamo
fare.
D. – Cioè, c’è una parte della mente umana insondabile che sfugge a qualsiasi
responsabilità di chi è vicino a queste situazioni?
R. – Credo che non solo
una parte, ma spesso la maggior parte della mente umana, del cuore umano, sfugge ai
nostri calcoli e ai nostri aiuti… Questo non vuol dire che non dobbiamo sempre stare
comunque allerta e vicini al nostro prossimo, non possiamo mai pensare di essere a
posto. Però, non possiamo nemmeno pensare di essere superuomini o superdonne, dotati
di poteri extrasensoriali…
D. - …anche perché questo genererebbe, forse, solo
un senso di colpa di fronte al quale non si può far nulla…
R. - …che poi non
sarebbe più neanche un senso di colpa, ma sarebbe addirittura un prometeico senso
di onnipotenza, che è insulso e forse anche improprio nei confronti della nostra natura
umana.
D. – Cosa dire della grande responsabilità dell’informazione nel veicolare
questi fatti di cronaca? Il rischio è che come effetto si provochi solo lo spavento
e che, di fronte a tanta violenza, ci si senta solo impotenti e minacciati…
R.
– E’ vero. Non possiamo pensare che nel trattare queste notizie così violente che
entrano nelle nostre case, non si possa fare qualcosa di meglio, qualcosa di più,
senza negare la realtà tragica. Però, si potrebbe sicuramente, con maggiore forza
e intelligenza, penetrare nelle case della gente con una speranza diversa, senza troppo
gossip, con una mentalità meno da scoop, con una condizione meno da
pugno nello stomaco. Queste cose sono subliminali, talvolta anche molto impercettibili,
ma sono importantissime per ciò che lasciano dentro! Invece, noi forse non comunichiamo
con amabilità. Nemmeno le tragedie sappiamo raccontarle lasciando ai bambini, ai ragazzi,
alle nuove generazioni un piccolo segno di speranza, che non è ingenuità, ma è vero
nutrimento.