Il Papa: il digiuno più difficile è chinarsi sull'uomo ferito, digiuno è anche una
carezza
“Io mi vergogno della carne di mio fratello, di mia sorella?”. È una delle domande
che hanno caratterizzato l’omelia di Papa Francesco, durante la Messa a Casa Santa
Marta. Il Papa ha messo in risalto che la vita di fede è strettamente connessa a una
vita di carità verso i poveri, senza la quale ciò che si professa è solo ipocrisia.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
Il cristianesimo
non è una regola senz’anima, un prontuario di osservanze formali per gente che indossa
la faccia buona dell’ipocrisia per nascondere un cuore vuoto di carità. Il cristianesimo
è la “carne” stessa di Cristo che si china senza vergognarsi su chi soffre. Per spiegare
questa contrapposizione, Papa Francesco riprende il dialogo del Vangelo odierno tra
Gesù e i dottori della legge, i quali criticano i discepoli per il fatto di non rispettare
il digiuno, a differenza loro e dei farisei che invece di digiuni ne praticano molti.
Il fatto, obietta il Papa, è che i dottori della legge avevano trasformato l’osservanza
dei Comandamenti in una “formalità”, trasformando la “vita religiosa” in “un’etica”
e dimenticandone la radice, cioè “una storia di salvezza, di elezione, di alleanza”:
“Ricevere
dal Signore l’amore di un Padre, ricevere dal Signore l’identità di un popolo e poi
trasformarla in una etica è rifiutare quel dono di amore. Questa gente ipocrita sono
persone buone, fanno tutto quello che si deve fare. Sembrano buone! Sono eticisti,
ma eticisti senza bontà, perché hanno perso il senso di appartenenza
a un popolo! La salvezza, il Signore la dà dentro un popolo, nell’appartenenza a un
popolo”.
Eppure, osserva il Papa, già il Profeta Isaia – nel passo ricordato
nella Prima lettura – aveva descritto con chiarezza quale fosse il digiuno secondo
la visione di Dio: “Sciogliere le catene inique”, “rimandare liberi gli oppressi”,
ma anche “dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto”,
“vestire uno che vedi nudo”.
“Quello è il digiuno che vuole il Signore!
Digiuno che si preoccupa della vita del fratello, che non si vergogna - lo dice Isaia
stesso - della carne del fratello. La nostra perfezione, la nostra santità va avanti
con il nostro popolo, nel quale noi siamo eletti e inseriti. Il nostro atto di santità
più grande è proprio nella carne del fratello e nella carne di Gesù Cristo. L’atto
di santità di oggi, nostro, qui, nell’altare, non è un digiuno ipocrita: è non vergognarci
della carne di Cristo che viene oggi qui! E’ il mistero del Corpo e del Sangue di
Cristo. E’ andare a dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani,
quelli che non possono darci niente in contraccambio: quello è non vergognarsi della
carne!”.
Questo significa che il “digiuno più difficile”, afferma Papa
Francesco, è “il digiuno della bontà”. È il digiuno di cui è capace il Buon Samaritano,
che si china sull’uomo ferito, e non è quello del sacerdote, che guarda lo stesso
sventurato ma tira diritto, forse per timore di contaminarsi. E dunque, conclude,
“questa è la proposta della Chiesa oggi: io mi vergogno della carne di mio fratello,
di mia sorella?”:
“Quando io do l’elemosina, lascio cadere la moneta senza
toccare la mano? E se per caso la tocco, faccio così, subito? Quando io do un’elemosina,
guardo negli occhi di mio fratello, di mia sorella? Quando io so che una persona è
ammalata, vado a trovarla? La saluto con tenerezza? C’è un segno che forse ci aiuterà,
è una domanda: so carezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini o ho perso il senso
della carezza? Questi ipocriti non sapevano carezzare! Se ne erano dimenticati… Non
vergognarsi della carne di nostro fratello: è la nostra carne! Come noi facciamo con
questo fratello, con questa sorella, saremo giudicati”.