Il Papa ai sacerdoti romani: è il tempo della misericordia, curate la ferite non siate
asettici
E’ il tempo della misericordia. E’ il cuore del discorso di Papa Francesco ai parroci
della sua diocesi di Roma, ricevuti ieri mattina in Aula Paolo VI. Il Pontefice ha
sottolineato che c’è tanta gente ferita da problemi materiali e spirituali e i sacerdoti
sono chiamati “prima di tutto a curare le ferite”. Quindi, ha ribadito che non vanno
bene preti lassisti o rigoristi, né tanto meno preti “asettici”, “da laboratorio”.
Prima del suo intervento, il Papa ha chiesto di pregare per "don Gino", un sacerdote
morto in questi giorni. Poi, ha detto di aver condiviso il dolore di alcuni sacerdoti
romani per aver ricevuto accuse ingiuste. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto al
Papa dal cardinale vicario Agostino Vallini. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Nella Chiesa
tutta è il tempo della misericordia”. Il vescovo di Roma ha esordito così nel suo
appassionato discorso ai suoi sacerdoti, quasi un esame di coscienza condiviso fraternamente,
ricco di richiami alla propria esperienza personale di pastore a Buenos Aires. Papa
Francesco ha innanzitutto rammentato l’intuizione del suo predecessore Giovanni Paolo
II che ha introdotto la festa della Divina Misericordia e ha canonizzato Suor Faustina
Kowalska. Karol Wojtyla, ha proseguito, “ha avuto il fiuto che questo era il tempo
della misericordia”. Qualcosa, ha detto, che va “rimeditato”:
“Oggi dimentichiamo
tutto troppo in fretta, anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma
i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al Popolo di Dio non
possiamo dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste. E’ una
consegna che lui ci ha dato, ma che viene dall’alto”.
“Sta a noi, come
ministri della Chiesa – ha aggiunto – tenere vivo questo messaggio soprattutto nella
predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta
di restituire priorità al sacramento della Riconciliazione, e al tempo stesso alle
opere di misericordia”. Il Papa ha quindi domandato cosa significa misericordia “per
noi preti”, ma prima ha fatto una confidenza:
“E mi viene in mente che alcuni
di voi mi hanno telefonato, scritto una lettera, poi ho parlato al telefono… 'Ma Papa,
perché lei ce l’ha con i preti?'. Perché dicevano che io bastono i preti! Non voglio
bastonare qui…Che cosa significa misericordia per i preti?”.
I preti, ha
affermato, “si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca
e sfinita come pecore senza pastore”. Gesù, ha detto ancora, “ha le viscere
di Dio: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse,
verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura”:
“Così
a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino
alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare
tanto: la vicinanza! La prossimità e il servizio: ma la prossimità, quella vicinanza…
Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui
attenzione e ascolto…”.
In particolare, ha commentato, “il prete dimostra
viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della Riconciliazione; lo
dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare,
di assolvere”. “Questo deriva – ha osservato – da come lui stesso vive il sacramento
in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e
rimane dentro questo abbraccio”. E riferendosi ad un padre confessore di Buenos Aires
ha sottolineato che se “uno vive questo su di sé, nel proprio cuore – ha soggiunto
- può anche donarlo agli altri nel ministero”.“Il prete – ha soggiunto – è
chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove”.
“I preti
- mi permetto la parola - 'asettici' quelli 'di laboratorio', tutto pulito, tutto
bello, non aiutano la Chiesa! La Chiesa oggi possiamo pensarla come un 'ospedale da
campo'. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un 'ospedale
da campo'. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta
gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente
ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente.
Misericordia significa prima di tutto curare le ferite”.
Quando uno è ferito,
ha proseguito, “ha bisogno subito di questo, non delle analisi”, “poi si faranno le
cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte”. Del resto, ha constatato,
ci sono anche “ferite nascoste” e gente “che si allontana per non far vedere le ferite”.
E, ha aggiunto, “si allontanano forse un po’ con la faccia storta, contro la Chiesa,
ma nel fondo, dentro c’è la ferita…vogliono una carezza!”. Voi, ha domandato ancora,
“conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro?”. E
si è così riferito al Sacramento della Riconciliazione:
“Capita spesso,
a noi preti, di sentire l’esperienza di nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato
nella Confessione un sacerdote molto 'stretto', oppure molto 'largo', lassista
o rigorista. Questo non va bene. Che tra i confessori
ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare
la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il
rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico
della persona che incontra”.
Il rigorista infatti, ha affermato, “inchioda”
la persona “alla legge intesa in modo freddo e rigido”, il lassista invece “si lava
le mani”, “solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio
il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato”:
“La vera misericordia
si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta
con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione.
E’ questo è faticoso! Sì, certamente! Il sacerdote veramente misericordioso si comporta
come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione,
è il cuore di Cristo!”.
“Né il lassismo né il rigorismo – ha detto ancora
– fanno crescere la santità”. Forse, ha soggiunto, “alcuni rigoristi sembrano santi”,
ma “pensate a Pelagio e poi parliamo”. Il lassismo e il rigorismo, ha ripreso, “non
santificano il prete, e non santificano il fedele”. La misericordia, ha aggiunto,
accompagna invece “il cammino della santità, la accompagna e la fa crescere”. E questo
“attraverso la sofferenza pastorale, che è una forma della misericordia”. Che cosa
significa, dunque, “sofferenza pastorale?”. Vuol dire, ha avvertito il Papa, “soffrire
per e con le persone”, come “un padre e una madre soffrono per i figli”, mi “permetto
di dire anche con ansia”. E per rendere più incisive queste parole ha rivolto ai sacerdoti
alcune domande che lo aiutano quando un prete va da lui:
“Dimmi: Tu piangi?
O abbiamo perso le lacrime? (…) Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza
di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che
non trova il cammino … Il pianto del prete … Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo
perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione
davanti al Tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha
lottato? (…) Noi abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per
il nostro popolo? Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata?
Con il Signore o con la televisione? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano
ad essere più misericordiosi? Cioè, com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani,
con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano?”.
“Non
avere vergogna della carne del tuo fratello”, ha ripreso, “alla fine, saremo giudicati
su come avremo saputo avvicinarci ad “ogni carne”, “farci prossimo” alla carne del
fratello” come il Buon Samaritano. Alla fine dei tempi, ha concluso Papa Francesco,
“sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà avuto
vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso”.