Gli orrori di un esodo: il viaggio degli eritrei verso l'Europa in una conferenza
dell'Oim
Un viaggio pieno di difficoltà e, spesso, anche di indicibili sofferenze. E’ quello
che compiono ogni mese oltre 3mila eritrei nella speranza di raggiungere l’Europa.
Per ricordare le loro storie, dense di dolore ma accomunate anche dalla speranza in
un futuro migliore, si è tenuta nella sede della nostra emittente una conferenza stampa
dal titolo “Il viaggio dall’Eritrea all’Europa: notizie da un’emergenza umanitaria”
promossa dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
La povertà,
la mancanza di libertà, l’obbligo del servizio militare per quasi tutta la vita consumano
ogni speranza di vita. Per questo, migliaia di eritrei decidono di lasciare il loro
Paese. Ma lungo il viaggio disperato verso l’Europa sono spesso intercettati da trafficanti
di uomini. E diventano schiavi, vittime di atroci sofferenze. Aganesh Fessaha,
presidente dell’Ong Gandhi, ripercorre il drammatico percorso di questi giovani:
“Vengono
aiutati da qualcuno del governo per passare la frontiera, pagando circa duemila dollari
per arrivare al confine del Sudan. Lì, poi, c’è qualcuno del governo sudanese che
li prende in custodia e, se sono fortunati, li consegna all’Unhcr, oppure li vende
ai trafficanti sudanesi, i rashaida. Da lì, a loro volta, vengono
venduti ad altri trafficanti egiziani e giunti vicino al confine di Israele, i trafficanti
li smistano. L’essere umano è considerato come merce. Poi, vengono stabiliti i prezzi
e i riscatti da chiedere alle famiglie, che partono dai 30 fino ai 50 mila dollari.
Ma non è solo questo. Durante tutto il percorso, queste persone subiscono torture
disumane: le donne vengono violentate, i ragazzi vengono sodomizzati così come le
donne, torturati anche i bambini se ce ne sono. Usano tubi di plastica, li bruciano
e li fanno colare sulla schiena e sulla testa... Li tengono per ore appesi al muro,
in alto, con la testa in giù, fino a quando non svengono perché non ce la fanno più.
Poi, li fanno scendere e li picchiano svariate volte. Vengono torturati anche con
delle lame roventi. Ci sono stati anche traffici di organi”.
Alcuni di
questi giovani vengono salvati e liberati grazie al prezioso impegno dell’Ong Gandhi
e dello sceicco egiziano salafita Mohammed Ali Hassan Awwad. Ancora Aganesh Fessaha:
“Spesso questi ragazzi mi chiamano, di notte e di giorno, e mi chiedono
di aiutarli. Io dicoloro: ‘Non paghiamo riscatti, però se voi ci date indicazione
su dove vi trovate, noi vi possiamo liberare!’. Spesso, quando li portano fuori solo
per un secondo, vedono o la moschea o una piantagione o qualche segnale… E mi dicono
dov’è la casa dove stanno. Io lo dico allo sceicco: lo sceicco Mohammed va a fare
un’ispezione del posto. La prima fase è quella di parlare con il proprietario della
casa e di dire: ‘Mi hanno detto che ci sono delle persone - dieci persone, venti persone
- da te. Tu le hai catturate!’. Loro spesso negano. Lui ci va per tre volte, cerca
di convincerli. Alla fine - la quarta volta - lui insieme con 10-15 persone della
sua famiglia, armate, si mettono vicino alla casa… Io dico ai ragazzi, prima di partire:
‘Voi, ad una certa ora, quando i guardiani non ci sono cercate di venire verso la
porta. Noi siamo lì e vi portiamo via!’. In quel momento mando il segnale, parlo in
tigrino, dico solo due parole e loro allora, incatenati, vengono. I fratelli dello
sceicco Mohammed li prendono e li caricano sul pick-up e li portiamo via”.
Durante
la conferenza stampa, sono state mostrate drammatiche immagini con corpi di giovani
eritrei arrivati in Israele e deturpati da torture e violenze. Suor Azezet Kidane,
missionaria comboniana di origine eritrea, che da anni lavora come infermiera nello
Stato ebraico ha raccolto le testimonianze di molti giovani e visto le loro sofferenze:
“Non
voglio farvi vedere più, perché avete visto cosa io ho visto in Israele… Persone senza
mani, distrutti, bruciati… Io non credevo e non volevo credere! E non volevo neanche
dire che cosa mi dicessero, perché era così doloroso… E ripetendolo mi sembrava che
lo facevo realtà. La verità? Non volevo credere!”.
Oltre al volto disumano
di trafficanti di uomini, questi giovani conoscono anche l’indifferenza del mondo.
Ancora suor Azezet Kidane:
“Anche se queste vittime hanno parlato, hanno
detto, hanno fatto filmati, hanno fatto documentari per poter far sapere al mondo,
il mondo non si interessa di loro: intanto - scusatemi per la parola - sono poveri
africani! Come al tempo della schiavitù! Perché non si muove? Questo per me è un dolore!
A che cosa serve parlare, fare e ancora raccontare e raccontare, quando il mondo non
si interessa di questa gente che ancora soffre? Hanno una grande fede, una grande
speranza. Hanno il forte desiderio che il domani diventerà migliore: 'Domani saremo
forti, ci aiuteremo!'. Questa loro forza e la loro fede mi dà coraggio di andare ancora
e sentirli. Speriamo che anche voi non rimarrete in silenzio”.
Dopo la
guerra fra Etiopia e Eritrea durata 30 anni, i confini tra i due Paesi non sono ancora
delimitati. Questa cornice indefinita provoca gravi conseguenze. Don Mussie Zerai,
presidente dell'Agenzia Habeshia:
“Questo problema irrisolto del confine
è diventato un alibi. E’ diventato un alibi anche per chi sta governando in quel Paese,
per non democratizzare il Paese, per non dare le libertà fondamentali al popolo, dicendo:‘
Siamo ancora in guerra’. Quindi, il primo impegno che la comunità internazionale può
prendersi è quello di risolvere questo problema, che è irrisolto ormai da 14 anni,
dando la possibilità agli eritrei stessi di dire al loro governo: ‘Ora non c’è scusa
perché il problema del confine è risolto’. Questo è il primo passo. Nel frattempo,
la comunità internazionale può impegnarsi con la cooperazione internazionale a rendere
vivibile la situazione nei Paesi limitrofi: quando gli eritrei scappano, scappano
prima in Sudan o in Etiopia… Allora, perché non rendere possibilità di vita migliori
in questi Paesi, con dei progetti? Quando parliamo di migrazione ci si dice: 'Ah,
volete far venire tutta l’Africa in Europa!'. No, non è vero. Anzi, io sono il primo
contrario a che gli eritrei o gli altri siano costretti a venire in Europa. Questo
vuol dire impoverimento del nostro continente. Ma se non c’è possibilità di vita lì,
cosa devono fare queste persone? Allora aiutiamoli perché possano vivere dignitosamente
nel loro Paese o nei Paesi limitrofi, pacificando quell’area e offrendo dei progetti
di vita, di lavoro e di studio in quell’area”.
Per arginare il drammatico
fenomeno del traffico di esseri umani è anche necessaria una diversa gestione dei
flussi migratori. Josè Angel Oropeza, direttore dell’Ufficio di Coordinamento
dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni:
“Noi abbiamo proposto
non solo un dialogo tra tutti i Paesi, ma anche di studiare forme e canali affinché
la migrazione irregolare diventi regolare. Abbiamo proposto anche dei centri di accoglienza
nel lungo percorso di immigrazione: nella regione del Sinai, del Sahel o del Nord
Africa”.