Intervista del Papa al Corriere della Sera: il commento di Ferruccio De Bortoli
Ad un anno dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ripercorre in un’intervista
rilasciata al direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, gli aspetti
salienti del suo magistero, della vita della Chiesa in questi mesi, ma anche le sue
scelte riguardo alla Curia e il rapporto con il predecessore Benedetto XVI. Il servizio
di Gabriella Ceraso:
E' una
conversazione a tutto campo quella a Santa Marta con il direttore del Corriere della
sera, che riporta alla luce aspetti noti e meno noti di questo primo anno di pontificato.
Le parole più delicate sono per il Papa emerito: “non è una statua in un museo, è
un’istituzione", "non vi eravamo abituati e forse ce ne saranno altri”; "insieme abbiamo
deciso che partecipasse alla vita della Chiesa” - spiega Francesco - “la sua saggezza
è un dono di Dio”. Poi tanti riferimenti personali e sul governo della Chiesa: “mi
piace stare tra la gente” - afferma - “non mi piacciono le interpretazioni ideologiche”,
dipingere il Papa come “una sorta di superman mi pare offensivo”, il Papa è un “uomo
normale”, non è solo nel suo lavoro perché consigliato da tanti, ma è solo col suo
senso di responsabilità al momento di decidere. Poi alcuni temi forti: gli abusi sui
minori, in primis, "ferite profondissime" - dice il Papa - “la Chiesa ha fatto tanto,
sulla strada aperta da Benedetto XVI, forse più di tutti”, è forse l’unica istituzione
pubblica ad essersi mossa con trasparenza e responsabilità, eppure, sottolinea, “è
la sola ad essere attaccata”. Sui divorziati, il Pontefice ribadisce che ogni decisione
sarà frutto di riflessione profonda, che il matrimonio è tra uomo e donna e le unioni
civili sono patti di convivenza di varia natura, “bisogna vedere i diversi casi e
valutarli nella loro varietà”. Sul ruolo della donna nella Chiesa e la sua promozione,
il Papa ripete che non solo "può e deve essere più presente nei luoghi di decisione"
ma che bisogna pensare che la “Chiesa è femminile dalle origini”, “il principio mariano
la guida accanto a quello petrino”, e che l’approfondimento teologale su questo aspetto
è in corso. Controllo delle nascite, gli si chiede? La dottrina della Chiesa, sottolinea
Francesco, non cambia, ma occorre andare in profondità, mentre sui valori non negoziabili,
il Papa chiarisce: “i valori sono valori e basta”. Non mancano i riferimenti infine,
ecumenici e internazionali: con la Cina, dei rapporti ci sono, spiega Papa Bergoglio,
facendo riferimento ad uno scambio di lettere col presidente Xi Jinping; mentre all’ipotesi
che il prossimo viaggio in Terra Santa a maggio porti ad un accordo di intercomunione
con gli ortodossi, chiarisce: "siamo tutti impazienti di ottenere risultati 'chiusi',
ma la strada dell’unità vuol dire soprattutto camminare e lavorare insieme".
Ma
ascoltiamo lo stesso Ferruccio de Bortoli che racconta - al microfono di Antonella
Palermo – come si sia posto davanti a questa intervista con Papa Francesco:
. – Io mi
sono posto con l’umiltà del cronista, cioè gli ho rivolto tutte le domande che un
giornalista si sarebbe sentito in dovere di rivolgere al Santo Padre, il quale ha
risposto a tutto e ha dato, anche in questa occasione, una grande prova di disponibilità,
con la capacità di comunicazione che gli riconosciamo.
D. – Che emozione le
è rimasta da questa intervista?
R. – Una grande emozione, uno straordinario
privilegio, la possibilità di passare un’ora con lui, parlando in italiano e in spagnolo,
affrontando tutti i temi … e non esiste una domanda proibita: esistono le domande,
esistono i dubbi, esistono i problemi che la Chiesa deve affrontare e la Chiesa dà
dimostrazione di una grandissima modernità nel guardare in faccia la realtà con costanza
e con grande attenzione per la centralità della persona umana.
D. – C’è una
risposta del Papa che l’ha più sorpresa?
R. – Credo che mi abbia sorpreso la
parte finale, nella quale ripercorrevo un po’ i tempi della sua giovinezza; ma non
mi ha sorpreso nulla, perché la spontaneità è ormai entrata nella percezione pubblica
dell’immagine straordinaria di questo pontefice. Si ha, a volte, l’impressione di
averlo sempre conosciuto, cioè di essere stati con lui anche in altre occasioni, perché
è come se fosse entrato in tutte le nostre famiglie, nelle famiglie di chi crede e
di chi non crede; ed è un segno di grandissima speranza. Questo è un momento in cui
ci sono passioni tristi e non ci sono speranze: a volte, noi ci aggrappiamo all’ottimismo,
che non vuol dire speranza. E la speranza viene dalla virtù, dalla profondità di una
parola, come lo è la parola di Francesco.
D. – Il Papa ci tiene a sottolineare
che lui non si sente affatto un “superman”, come qualcuno vorrebbe anche dipingerlo
…
R. – No, no … devo dire che si è preoccupato di smitizzare un po’ la sua
figura. Lui dice che la “francescomania” non durerà a lungo: noi pensiamo che possa
e debba durare a lungo. Però, certamente, ha detto in questa intervista, che alcune
mitizzazioni, alcune esagerazioni gli sono apparse fuori luogo.
D. – Un’ultima
battuta: abbiamo conosciuto il profondo rapporto di stima reciproca, di collaborazione
che il cardinale Carlo Maria Martini, gesuita come Papa Francesco, ha intrattenuto
negli anni con il “Corriere della Sera”, con il giornale che lei dirige. Come leggere
questa intervista oggi, anche ricordando questa figura così importante per la Chiesa
in Italia, e non solo?
R. – Io credo che al cardinale Martini sarebbe molto
piaciuta, anche se credo che Martini fosse un gesuita un po’ diverso rispetto a Bergoglio.
Però, quello che mi colpisce come similitudine è che entrambi ascoltano e stanno vicini
al credente, al fedele con un senso e con un tratto amichevole: in Martini non c’era
mai il giudizio nei confronti di chi, magari, fosse lontano dalla Chiesa, ma c’era
sempre la voglia di intavolare un dialogo, perché solo attraverso il dialogo si scoprono
dei punti comuni, e con i punti comuni – quello “stare insieme” di cui parla proprio
Francesco nell’intervista –, con quello “stare insieme” si fa crescere la Chiesa,
si fa crescere la società e ci rende tutti più uniti, ci rende tutti più consapevoli
dei nostri doveri e, probabilmente, smina quel risentimento che nella società civile
è molto forte, quel malumore, quella sfiducia, quell’indifferenza, quel senso di solitudine
che sono i sintomi di una malattia moderna che è la malattia di un mondo globalizzato
nel quale, qualche volta, le identità scompaiono.