Centrafrica: a Bangui anche la pioggia sugli sfollati, ma passi avanti negli aiuti
Le forti piogge degli ultimi giorni, forse un anticipo della stagione umida, fanno
temere per le condizioni igienico-sanitarie dei 700.000 sfollati di Bangui, già alle
prese con un quotidiano difficile. “I campi non sono attrezzati per far fronte al
maltempo. Anche se gli sfollati hanno teli di plastica per ricoprire le tende, non
basta. Ci vorrà un intervento mirato per arginare il rischio di epidemie come malaria
e diarrea” dice all'agenzia Misna il portavoce del Comitato internazionale della Croce
Rossa (Cicr) nella capitale centrafricana, Georgios Georgantos. In teoria la stagione
delle piogge dovrebbe cominciare ad aprile e durare circa sei mesi. Ma nel campo di
M’Poko, il più grande della capitale nei pressi dell’aeroporto internazionale, parte
dei 100.000 occupanti sono già circondati da 30 centimetri di acqua fangosa dopo il
maltempo dello scorso fine settimana. Parte del sito è alluvionato e la gente non
può più dormire per terra. “I bambini e gli anziani si ammalano. Dobbiamo trovare
ogni mezzo possibile per costruire nuovi ripari” hanno riferito fonti locali e operatori
umanitari, tra cui il Fondo Onu per l’infanzia (Unicef), che ha già lanciato l’allarme
per il rischio epidemia.
Ma sulla situazione umanitaria globale, il portavoce
del Cicr registra “passi avanti positivi” a Bangui. “Nelle ultime settimane la sicurezza
è migliorata in modo significativo nella capitale, facilitando l’intervento degli
operatori, ma ci sono ancora tensioni in alcuni quartieri musulmani e misti” prosegue
l’interlocutore della Misna, precisando che “prima una decina di corpi senza vita
veniva prelevata per le strade e i feriti erano una quindicina al giorno mentre ora
sono molto di meno, al massimo dieci la settimana”. Nel frattempo è anche aumentata
la presenza umanitaria internazionale in risposta alla crisi causata da rivalità politiche
che hanno portato a violenze ai danni dei civili, alimentate dagli ex ribelli Seleka
(per lo più della minoranza musulmana) e dalle milizie di autodifesa Anti-Balaka (a
maggioranza cristiana). “E’ vero che servono altri finanziamenti e altri mezzi per
riuscire a rispondere a ogni necessità. Speriamo che arrivino presto anche quelli”
auspica Georgantos, precisando che “puntiamo al ritorno volontario degli sfollati
a casa propria, man mano che le condizioni di sicurezza lo consentiranno”.
Molto
più instabile e fuori controllo è invece la situazione nelle regioni interne dell’estesa
Repubblica Centrafricana, dove non sono ancora stati dispiegati contingenti africani
della Misca e truppe francesi dell’operazione Sangaris. “La maggior parte dei musulmani
sono scappati e si sono rifugiati nei paesi vicini, ma laddove c’è coesistenza tra
le varie comunità c’è un potenziale preoccupante di violenza” dice ancora il portavoce
del Cicr, citando il caso di Bossangoa. Tensioni tra comunità e insicurezza legata
alla presenza di gruppi armati rivali generano anche un aumento della criminalità
che rende il quotidiano “aleatorio e incerto”. Nell’ultimo periodo segnali negativi
sono arrivati dalle zone di confine con Camerun e Ciad – dove decine di migliaia di
centrafricani in fuga dalla crisi hanno trovato rifugio – ma anche dal centro del
paese e dal sud, alla frontiera con la Repubblica democratica del Congo.
Per
questo motivo il rappresentante dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati in Centrafrica,
Philippe Leclerc, ha chiesto un “dispiegamento celere delle forze internazionali se
si vuole che le comunità possano vivere ancora insieme”, unito ad una mediazione per
“riallacciare il dialogo tra le parti”. Dal Consiglio di sicurezza dell’Onu è atteso
il via libera all’invio di una missione di peacekeeping di 12.000 uomini. (R.P.)