2014-03-04 15:56:37

Italia, alcol e giovani: mezzo milione a rischio dipendenza. Emanuele Scafato: servono prevenzione e norme


Il consumo di alcol tra i giovani: un fenomeno diffuso e sottovalutato in Italia tanto che sarebbero mezzo milione i ragazzi a rischio di dipendenza. Roberta Gisotti ha intervistato il dott. Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità:RealAudioMP3

A volte cominciano ad 11 anni e a 16 sono consumatori abituali di bevande alcoliche nocive per la loro salute. Si va dagli ‘shortini’, cocktail dolci venduti a pochi euro ai ‘binge drinking’ una bravata che fa ingurgitare sei bicchieri di alcol alla volta a due milioni di giovani tra i 16 e i 24 anni. Mode, tendenze, stili di vita che sacrificano i ragazzi agli enormi interessi economici che sono dietro la vendita di alcol e preparano una società sempre più schiava di consumi anche letali come l’alcol. Il 17 per cento delle intossicazioni etiliche, fino al coma, registrate nei Pronto soccorsi riguarda adolescenti tra i 13 e 16 anni, in parte destinati all’alcolismo come ci conferma il dott. Scafato:

D. - Noi sappiamo che in Italia esistono almeno 60 mila pazienti alcol dipendenti in carico ai servizi sanitari; di questi l’1% - poco più di un migliaio – ha un’età inferiore ai 19 anni e questo è un fatto che desta molta preoccupazione, alla luce dell’esperienza che ci vogliono almeno dagli 8 ai 10 anni - dipende da quella che è la carriera alcolica delle persone – per la dipendenza. In ogni caso si tratta di soggetti che hanno cominciato davvero presto a consumare e ad abusare di bevande alcoliche. Quindi, il problema che si pone è cercare di capire come poter intercettare un comportamento a rischio per evitare l’alcol dipendenza. È un discorso molto complesso che comunque merita un’attenzione maggiore, tenuto conto di queste mode e tendenze che si diffondono rapidamente anche tramite Internet e che invitano non solo al bere smodato ma all’intossicazione alcolica. È qualcosa quindi da tenere sotto stretta sorveglianza.

D. – Mode e tendenze: sappiamo che oggi bevono alcol i ‘bambini’ - perché è così che li dobbiamo chiamare - in prima e seconda media...

R. – Assolutamente sì. Quando siamo andati in giro nelle scuole per la Campagna del ministero della Salute “Non perderti in un bicchiere”, abbiamo verificato che la prevalenza dei consumatori è notevole. In ogni caso è un problema noto anche agli insegnanti ma spesso non è noto ai genitori, che invece abilitano in famiglia il consumo alcolico a soggetti giovani che non hanno la capacità di metabolizzare alcol.

D. – Sicuramente c’è una strategia di interessi economici per indurre i più giovani a bere...

R. – La cultura del bere è legata sostanzialmente alle pressioni ed al bere della società; che poi la società sia fatta oggetto di pressioni da parte del marketing questo è fuori dubbio. Oggi, siamo sostanzialmente consumatori immersi in un mercato; però non dobbiamo mai dimenticare che siamo noi a poter scegliere, siamo noi che facciamo il mercato e non il contrario. Incominciare, quindi, a parlare con i ragazzi, così come facciamo noi nelle scuole; verificare attentamente anche i messaggi che arrivano perché quando troviamo un messaggio del tipo: “Bevi responsabilmente” dove “bevi” è un imperativo che non dà margini di manovra, è chiaro che bisogna fare quello che c’è da fare come adulti per incominciare a fornire elementi di giudizio che possano consentire alla persona di fare scelte informate, soprattutto sapendo quello che si sceglie, con tutti i rischi e con tutte le conseguenze che può comportare.

D. – A questa deriva ci si può in qualche modo opporre, sappiamo anche che ci sono divieti che nessuno osserva per la vendita degli alcolici ai minori; gli stessi minori non sanno che è fatto loro divieto di bere...

R. – Il fatto che non lo sappiano non credo che sia vero; loro sanno perfettamente che è vietata la vendita e la somministrazione ai minori di anni 18, dal decreto Balduzzi e quindi, da un anno e mezzo. Il problema è un problema di cultura, soprattutto degli adulti: non dovrebbe mai esistere un adulto che dà alcol nonostante sia a conoscenza di un divieto di legge e soprattutto di un articolo del Codice penale - il 698, che esiste fin dal 1932 - e che sono previste ammende e sanzioni fino all’arresto. Allora agire sulla cultura di questi individui, che sono adulti in grado di intendere e di volere, può voler dire incrementare anche la tutela dei nostri ragazzi.

D. – Dalla sua esperienza, dal suo osservatorio avete riscontrato che le campagne rivolte a ridurre comportamenti e stili di vita a rischio, hanno effetto?

R. – La prevenzione è importantissima: bisogna fare educazione, prevenzione però bisogna fare anche le norme. Se lei pensa che è diminuita la mortalità sulle strade italiane e soprattutto nelle classi di età più giovanili perché è stata adottata una norma che vieta il consumo di alcol al di sotto dei 21 anni, questo ci dice che quando la prevenzione è accompagnata da normative che vengono spiegate alla popolazione e ai giovani allora il risultato c’è. Quindi, la norma serve perché non è un proibizionismo ma è una normale politica di controllo che serve a tutelare la salute delle persone e soprattutto a bilanciare la promozione del prodotto, che è così forzata ed così evidente, rispetto alla promozione della solute che invece molto spesso non è oggetto nemmeno di supporto finanziario, in tempi di scarse risorse.







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