Iraq. Mons. Sako: fermare l’esodo per preservare origini e storia dei cristiani iracheni
"Se abbandoniamo l'Iraq, saremo tagliati fuori per sempre dalle nostre origini e dalla
nostra storia", perché il futuro della comunità "è legato al nostro impegno e all'impatto
che esso avrà". "Il nostro futuro è qui, non certo nelle nazioni della diaspora".
È un richiamo accorato, forte e definitivo quello lanciato da mons, Louis Raphael
I Sako, patriarca caldeo d'Iraq, durante un incontro con i fedeli alla parrocchia
di San Giuseppe a Baghdad. Il simposio, al quale hanno partecipato diverse personalità
della Chiesa caldea - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha affrontato le "crisi" che
attraversano la nazione e le "sfide" poste dall'emigrazione. L'esodo senza fine dei
cristiani d'Iraq, la cui popolazione si è pressoché dimezzata dall'invasione statunitense
nel 2003, è infatti uno dei temi chiave del patriarca, una sfida attorno alla quale
si gioca la sopravvivenza della comunità nel Paese e in tutto il Medio oriente.
Mons.
Sako spiega che i cristiani del Medio Oriente differiscono dai concittadini musulmani,
perché hanno dovuto preservare la fede "a fronte di enormi sacrifici", ed è "disdicevole"
che i governi musulmani li trattino alla stregua di "cittadini di serie b" nella loro
terra. Le Crociate e il Colonialismo, prosegue, hanno rafforzato questo (presunto)
"legame con l'Occidente". Ai problemi legati alla sicurezza, alle persecuzioni e alle
violenze, aggiunge ancora, di recente si è unito un altro fenomeno: mafia e criminalità
che "incentivano la migrazione" offrendo agevolazioni, in base a un piano politico
specifico.
"Abbandonare il Paese - continua il patriarca - significa dare un
taglio netto alla storia e alla civiltà della nazione, adattandosi a modelli occidentali
in termini di linguaggio, costumi, morale, società, famiglia, cultura e istruzione".
Per farla breve, chiosa, emigrare significa "strappare le radici ed è una forma particolare
di morte. Siamo nati in Iraq - avverte Mar Sako - e siamo qui per rispondere a un
piano divino, la responsabilità di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo a quanti vivono
accanto a noi". Se i cristiani abbandonano in massa il Paese, si chiede il patriarca,
"chi testimonierà il Cristo?", mentre le chiese verranno "trasformate in musei e pietre
morte, se non completamente distrutte". L'emigrazione, rilancia, è un "tradimento"
della patria e una "fuga dalle responsabilità".
Mar Sako parla infine della
"presunta felicità" di quanti emigrano, che in realtà nella maggior parte dei casi
si rivela essere solo un "miraggio". "La miseria dell'alienazione e il problema occupazionale,
il rischio di perdere tutto... Non pensate di trovare lavoro, denaro e prosperità
tanto facilmente" continua il patriarca caldeo. Al contrario, egli propone alcuni
punti fermi dai quali partire per rilanciare la presenza cristiana in Iraq e in Medio
oriente: rafforzamento dell'istruzione, investimenti e attività economiche, nuove
abitazioni e posti di lavoro. Per far questo è necessaria maggiore coesione e unità
di intenti fra i vari gruppi politici, creare una Lega caldea e difendere i diritti
dei cristiani nelle situazioni di difficoltà. (R.P.)