Un libro racconta i 125 anni di storia del Pontificio Collegio Canadese
Ricorre quest’anno il 125.mo anniversario della fondazione del Pontificio Collegio
Canadese a Roma, in occasione della ricorrenza John Zucchi, docente di storia alla
McGill University a Montréal, ha pubblicato un libro che ripercorre la storia dell’Istituto
e il suo intimo rapporto con i Papi che si sono succeduti. Il testo è stato presentato
due giorni fa a Roma alla presenza dell’autore e del cardinale Marc Ouellet, prefetto
della Congregazione per i vescovi. Al microfono di Laura Ieraci il prof.
JohnZucchi ripercorre gli eventi e lo scopi che stanno alla base dell’istituzione
del collegio:
R. - Il Collegio
è stato un’idea del cardinale inglese Edward Henry Howard che, parlando con il padre
provinciale dei Sulpiziani a Montreal, chiese come mai i latinoamericani avessero
il loro Collegio, così come tanti altri Paesi, e non il Canada e se non sarebbe stato
possibile crearne uno. Così se ne è occupato il padre provinciale dei Sulpiziani:
ha parlato con gli altri confratelli, ha scritto ai vescovi canadesi e l’idea è nata.
Il Collegio è stato fondato nel 1888. Non si può prendere per scontato questo fatto,
perché erano pochi i cattolici in Canada allora - neanche tre milioni - e il Canada
era una terra di missione. Dunque, è un grande fatto che i Padri Sulpiziani abbiano
avuto questa idea e che nel 1888 abbiano costruito questo Collegio, anche immenso,
in Via di Quattro Fontane.
D. - Quali sono i fatti più interessanti o più
curiosi che lei ha scoperto facendo la sua ricerca?
R. - Un grande fatto, per
me, è il rapporto che c’era tra il Collegio canadese e i Papi. Mi ha colpito l’intimità
che c’era tra il Collegio e questi Papi. Penso, per esempio, a Leone XIII che desiderava
la fondazione di collegi nazionali per legare i preti del mondo a Roma. Lui celebrava
proprio nel 1887-88 il suo 50.mo anniversario di ordinazione al sacerdozio e il Collegio
gli è stato dato come dono per il suo giubileo. Lui disse che questo regalo era il
più grande che avesse ricevuto, quello più caro. Penso poi a Papa Giovanni XXIII che
ha ricevuto, per esempio, in udienza nel 1962 i preti del Collegio nella Biblioteca
Apostolica. Questi preti aspettavano in sala di attesa molto agitati per il Protocollo
dell’incontro col Papa. A un tratto, arrivò Giovanni XXIII, mise fuori la mano e disse
loro: “Veloci! Veloci! Entrate dentro!”. E il suo camerlengo, quasi sottovoce, disse
ad uno dei preti presenti: “Ma voi nordamericani sempre avete i grandi privilegi…”.
Poi, nel ’63, un anno più tardi, il nuovo Papa Paolo VI è venuto in visita al Collegio
canadese, il primo Papa a visitare il Collegio. Nell’88 è venuto anche Giovanni Paolo
II: ha pranzato con tutti i preti, parlando con loro con una tale intimità che direi
inusuale. I vari Papi hanno avuto un rapporto davvero intimo con il Collegio canadese.
I cattolici del Canada pensano magari di essere molto piccoli nel grande panorama
delle Chiesa universale, ma mi ha colpito invece questa attenzione e questa cura che
i Papi hanno avuto del Collegio canadese in quegli anni.
D. - Quali sono stati
i contributi più importanti del Collegio per la Chiesa in Canada e per la Chiesa universale?
R.
- C’è un grande contributo, che è quello di aver dato la possibilità ai preti del
Canada di venire a Roma, a fare i loro studi e stare in una comunità fisicamente vicina
al Papa. Questo ha aiutato molto la Chiesa in Canada a legarsi di più al centro del
cattolicesimo e della Chiesa universale. C’è anche un altro piccolo contributo, più
piccolo ma ugualmente importante, che il Collegio ha dato al Canada: per tanti anni,
infatti, il Collegio canadese è stato chiamato “Ambassade Officieux” - "l’Ambasciata
ufficiosa" - perché il Canada, fino al dopoguerra, non aveva una ambasciata né a Roma,
quindi in Italia, né presso la Santa Sede. Dunque, per tanti anni il rettore del Collegio
canadese “ufficiosamente” ha svolto tanti servizi che avrebbe fatto un’ambasciata
canadese.