Myanmar: Msf costretta a chiudere le attività: "Preoccupati per migliaia di pazienti"
In Myanmar, 30 mila malati di Hiv/Aids e oltre 3mila persone affette da tubercolosi
restano privi di cure, dopo la decisione del governo di sospendere le attività di
Medici senza frontiere nel Paese. Sono quindi state chiuse le cliniche a Yangon, negli
Stati Shan, Kachin e Rakhine, e i pazienti non hanno ricevuto i farmaci salvavita.
Msf denuncia soprattutto le conseguenze nello Stato Rakhine, dove si vive una grave
crisi umanitaria e dove migliaia di persone sono sfollate nei campi profughi. A subire
le ricadute più pesanti è il gruppo etnico dei rohingya, minoranza musulmana
perseguitata dagli esponenti più oltranzisti della maggioranza buddista. Nel corso
degli ultimi anni, i rohingya hanno sopportato pesanti discriminazioni e violazioni
dei diritti umani fondamentali. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Cecilia
Brighi, scrittrice, esperta di Myanmar:
R. – E’ un
popolo vittima di discriminazioni, che negli ultimi due anni in Birmania è stato oggetto
anche di pesanti violenze, che hanno portato a incendi dei villaggi quindi alla fuga
di decine di migliaia di persone che ora vivono nei campi per i rifugiati all’interno
della Birmania e non hanno diritti. Quindi, è una questione scottante, anche sul piano
internazionale, che dovrà essere risolta con la massima attenzione e con la massima
cautela dalle autorità birmane, con il sostegno delle istituzioni internazionali.
Ci sono grandi tensioni perché, nelle rivolte antimusulmane, c’è anche il tentativo
da parte di alcuni soggetti di ostacolare il processo di riforme democratiche all’interno
del Paese. Molti dicono che dietro queste tensioni religiose nel Rakhine ci siano
anche interessi economici di alcune frange di militari, che controllano buona parte
delle ricchezze del Paese e che hanno interessi anche in quell’area. Poi, ovviamente,
ci sono motivazioni che nascono dalla povertà e dall’ignoranza e che hanno contribuito
ad istigare il conflitto tra musulmani e buddisti nel Rakhine. Quindi, è una situazione
molto complessa.
D. – Il governo centrale non intende affrontare questa vicenda,
quello che sta accadendo nel Rakhine?
R. – Il governo centrale è intervenuto,
forse con ritardo, in questa situazione e forse non con la sufficiente autorevolezza
e autorità. Infatti, è quello che tutti chiedono: che ci sia cioè un impegno forte
delle forze dell’ordine per evitare il verificarsi di questi scontri e per evitare
le provocazioni. Quindi, c’è la necessità di un maggiore impegno del governo birmano.
Anche la proposta di legge sulla tutela della razza e delle religioni non aiuta a
risolvere pacificamente questa situazione di tensione nello Stato Rakhine, che poi
si è spostata anche in altre aree per l’intervento di alcuni monaci buddisti molto
oltranzisti.
D. - Come leggere e che conseguenze può avere la chiusura da
parte del governo delle attività di Medici senza frontiere in Myanmar?
R. -
Io penso e spero che questa cosa si risolva e che le attività di Medici senza frontiere
in quella zona del Paese possano riprendere rapidamente, perché c’è la necessità di
fornire sostegno medico in una regione molto povera del Paese, sia alle popolazioni
buddiste, quindi rakhine, sia ai rohingya. Mi auguro ci sia sufficiente
intelligenza per arrivare a una soluzione positiva di questa interruzione delle attività
di Medici senza frontiere.