La Crimea chiede l'intervento della Russia. Preoccupazione della comunità internazionale
Con il passare delle ore cresce la tensione tra la Russia e l’Ucraina dopo il dispiegamento
di Mosca di 8mila militari in Crimea. Il parlamento della penisola ha chiesto aiuto
al Cremlino per far tornare la calma mentre Kiev sta mettendo in campo le unità navali.
La Russia non esclude l’invio di truppe mentre la comunità internazionale si dice
preoccupata. Il Presidente ad interim ucraino Turcinov ha definito "illegale" l'elezione
a premier della Crimea di Aksionov. Benedetta Capelli:
Sarà il presidente
Putin a decidere l’eventuale invio di un contingente limitato di truppe in Crimea
per ragioni di sicurezza. A riferirlo è la presidenza del consiglio della Federazione
russa. Dichiarazioni che arrivano al termine di una mattinata convulsa giocata sul
rimpallo di responsabilità. Da un lato il premier della Crimea Aksionov ha chiesto
aiuto a Mosca per far tornare la calma ed il Cremlino ha risposto dicendo che la richiesta
di aiuto non sarà ignorata. Dall’altro lato c’è l’Ucraina che ha criticato le mosse
russe, parlando di provocazioni. Nei fatti però Kiev denuncia l’assedio del quartier
generale della guardia costiera ucraina a Sebastopoli, in Crimea. Trecento uomini
avrebbero ricevuto l’ordine dalla difesa russa di occupare il sito. Mosca da parte
sua denuncia l’assedio al ministero dell'interno della Crimea mentre è stato presieduto
il parlamento di Sinferopoli. Intanto a Donetsk, feudo dell'ex presidente Ianukovich
nel sud est dell’Ucraina, sono scesi in piazza 10mila manifestanti filorussi per
protestare contro il nuovo potere insediatosi a Kiev. Una situazione che preoccupa
la comunità internazionale; nella notte si è riunito il Consiglio di Sicurezza dell'Onu,
possibile che il presidente Obama così come altri leader europei disertino il G8 di
Sochi a giugno. Si profila anche una guerra economica. L’Ucraina ha debiti con la
Russia per il pagamento del gas e sono possibili ripercussioni. Intanto è stato anticipato
al 30 marzo il referendum sullo status della Crimea all'interno dell'Ucraina, fissato
in precedenza per il 25 maggio.
Su quanto sta accadendo in Crimea, Benedetta
Capelli ha intervistato il prof. Paolo Calzini, docente di studi europei
all’università Johns Hopkins di Bologna:
R. - La Crimea
è il caso estremo naturalmente: mentre l’area - diciamo - russofona dell’est sembra
mantenere un atteggiamento pragmatico nei confronti del nuovo governo, in Crimea -
come era verosimile - c’è chiaramente una spinta potenzialmente secessionista. La
Crimea effettivamente e storicamente, per tutta una serie di eventi, è quella in cui
la presenza dei nazionalisti russi più radicali era più forte. Il problema è che queste
forze nazionaliste russe in Crimea, in qualche modo, sono autonome dalla stessa Mosca,
perché Mosca - sia pure facendo una serie di atti dimostrativi, come quello dell’invio
delle truppe in quest’area e soprattutto in relazione alla base di Sebastopoli - non
è assolutamente favorevole, io ritengo, a una secessione della Crimea. Quindi questo
è un caso in cui la potenza, in qualche modo, protettiva della minoranza russa rischia
di essere scavalcata da forze che sfuggono al suo controllo e che sono più radicali.
D. - Anticipare il referendum sull’indipendenza della Crimea al 30 marzo,
rispetto invece al 25 maggio, che significato ha?
R. - Ha un significato dimostrativo
importante, perché qui si gioca effettivamente una partita forte: non dimentichiamo
che questi nazionalisti - diciamo - russi della Crimea fanno valere, in qualche modo,
il principio di autodeterminazione. Questo confligge con il principio garantito internazionalmente
e sostenuto legittimamente dal regime di Kiev contro ogni violazione della sovranità
dell’Ucraina. Siamo in una situazione complessa, perché gli attori non sono due, non
sono tre… Sono la Russia, da una parte, che in qualche modo io ritengo faccia delle
azioni dimostrative, ma che sia contraria - come ha ripetuto anche Putin - ad una
rottura, ad una scissione della Crimea, che potrebbe essere un precedente che vale
poi anche per altre regioni dell’Ucraina; e le forze locali - dall’altra - che invece,
in qualche modo, vanno per conto loro e configgono naturalmente con il nuovo governo
di Kiev, che è impegnato a mantenere la sovranità e l’integrità territoriale del Paese.
D. - Quale atteggiamento attendersi - secondo lei - dalla Comunità internazionale?
Si profila un G8 di Sochi a giugno, con molte assenze…
R. - Eh, si! Il problema
è che questo caso della Crimea pone in luce tutta la complessità e anche le potenzialità
di tensione della situazione ucraina: se si arrivasse ad una formalizzazione, attraverso
un referendum, di una volontà di secessione, l’atteggiamento della Russia potrebbe
essere molto complesso, perché non sarebbe facile neanche per Mosca contenere questa
spinta. Ritengo che in questo caso, come più in generale sulla situazione ucraina,
la soluzione - che è anche auspicata dall’Occidente - è un accordo russo-europeo-americano
per mantenere la situazione sotto controllo e impedire che la situazione dall’interno
sfugga al controllo del regime e più in generale al tentativo della Comunità internazionale
di mantenere la situazione sotto controllo.
D. - E’ possibile che una delle
ripercussioni di questo conflitto sia il prezzo del gas? L’Ucraina ha un credito aperto
con la Russia… Quindi, secondo lei è possibile aspettarsi delle ritorsioni in tal
senso?
R. - Siamo solo all’inizio di una fase molto complessa, in cui la Russia
naturalmente giocherà le sue carte: utilizzerà quella che è l’arma più forte, che
Mosca ha, che è quella economia. Quindi qui la Russia potrà utilizzare questo strumento,
che ha utilizzato anche in passato, per premere e condizionare il regime di Kiev.
Avendo presente che il vero problema, secondo me, è che le forze esterne, le potenze
esterne - quindi Unione Europea, Stati Uniti e Russia - sono, tutto sommato, a favore
di una transizione non dico pacifica, ma controllata. Ma questa azione dall’esterno
non corrisponde all’interno: nel caso della Crimea un atteggiamento che muove al compromesso
da parte delle forze contrapposte dei nazionalisti russi e del regime di Kiev.