2014-02-27 13:41:47

Il rapporto Italia-Europa nei recenti interventi di Renzi: il commento dell'economista Altomonte


Molti i riferimenti all’Europa e al ruolo dell’Italia nel contesto europeo negli interventi del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in questi giorni al Senato e alla Camera. Da un lato l’orgoglio di essere parte importante di una realtà come quella europea, dall’altra l’ambizione di contribuire ad un’ Europa fatta non solo di “virgole e percentuali". In particolare ha fatto discutere l’affermazione di Renzi: “Noi vogliamo un’Europa dove l’Italia non va a prendere la linea per sapere che cosa fare, ma dà un contributo fondamentale”. Adriana Masotti ha sentito il parere di Carlo Altomonte, docente di Economia politica europea alla Bocconi di Milano:RealAudioMP3

R. - Belle parole ma il 130% del rapporto del BTP non l’ha fatto l’Europa, l’abbiamo fatto noi. Quindi, questa è una cosa che va tenuta sotto controllo perché comprime lo sviluppo, ammazza la crescita, ci toglie credibilità sui mercati finanziari. Belle parole ma il problema del debito va risolto.

D. – Quindi una dichiarazione d’autonomia che poi nel concreto vale …

R. – Non vale niente, perché non siamo autonomi rispetto ai mercati finanziari. In realtà, se noi non troviamo ogni anno 300 miliardi di euro, gente che compra i titoli del debito, non paghiamo le pensioni.

D. – Il portavoce della Commissione Ue, riferendosi al discorso di Renzi, ha detto: “Quello che noi sentiamo è ambizione per l’Europa e per l’Italia in Europa" e su questo non si può sperare di meglio da un leader…

R. – Sono molto d’accordo nel senso che se Renzi, il suo governo, in definitiva noi, riusciamo a mettere in cantiere quelle riforme di cui da tempo l’Europa ci chiede conto - riforme sui saldi di spesa pubblica e la riduzione della spesa; sul miglioramento e l’efficienza della macchina statale; sugli oneri sociali per togliere i “massi” dalla schiena delle imprese - e quindi riusciamo a crescere di più, tutto si risolve. Perché crescendo di più il debito diventa più sostenibile, abbiamo più autonomia in Europa, non dobbiamo farci dettare la linea… E’ da lì che dobbiamo iniziare. Non certo dal mettere in discussione le regole del gioco quando non siamo stati noi a fare il primo passo.

D. – Ci sono due momenti importanti fra poco per l’Unione Europea e l’Italia: il rinnovo del Parlamento Europeo a maggio e la presidenza italiana del Consiglio da luglio. Saranno opportunità che l’Italia potrà cogliere, così come si augura e dichiara il nostro presidente del Consiglio?

R. – Per le elezioni europee si tratta più di un rischio; per la presidenza invece è un’opportunità. Per le elezioni europee ovviamente il rischio è quello di vedere un voto fortemente euroscettico, che acquista consenso in Italia ed in Europa. Proprio per evitare questo, secondo me, dobbiamo già da adesso mettere delle cose sul campo: partire con un’agenda di riforme in Italia, smettere con il dogma dell’austerità a tutti i costi in Europa – cosa che l’Europa sta già facendo – poi ovviamente sfruttare la presidenza italiana per portare a casa un punto fondamentale che è questo legame strutturale tra riforme di uno Stato e flessibilità sui conti pubblici. Uno dei dibattiti di questi giorni è: “Dove Renzi recupererà le risorse per fare tutto quello che ha detto di voler fare nei prossimi due anni?”. Potrebbe recuperarle andando a rinegoziare con Bruxelles il tetto del deficit del 3%; l’Europa non necessariamente gli direbbe di no però solo se questo impegno è equiparato ad una agenda di riforme seria, credibile e verificabile. Quindi, questi accordi, questi contratti per le riforme – che sono in discussione al Consiglio Europeo, ma che non sono ancora stati formalizzati perché manca il consenso politico – potrebbero essere un forte investimento che l’Italia fa sul suo semestre di presidenza e di cui essa stessa beneficerebbe per prima.

D. – “L’Europa non è solo rispettare vincoli economici” ha detto Renzi “ma dire a noi stessi e ai nostri figli che è possibile immaginare un’Europa in cui non solo si vive nel dialogo ma di istituzioni in grado di rappresentare la speranza”. Anche qui belle parole, o qualcosa di più concreto da aspettarsi?

R. – Secondo me, non è eticamente corretto scaricare 130% del nostro Pil sulle generazioni future. Quindi, la prima istituzione che dovrebbe iniziare a dare speranza è il governo italiano. Ovviamente, accanto a questi sforzi, ci sono anche gli sforzi europei che devono essere quelli di dare sempre più legittimità democratica al processo europeo: se è vero che l’Europa può controllare il percorso di riforma di un Paese, è altrettanto vero che il “controllore deve essere controllato dai cittadini”, quindi, è sempre più forte il legame tra rappresentanza democratica dei cittadini ed istituzioni comunitarie. Per dirla con un termine giornalistico: non può essere la Troika, cioè Banca centrale, Commissione e Fondo monetario, a decidere gli stili di un Paese perché la Troika non l’ha eletta nessuno. Chi deve decidere gli stili di un Paese, insieme, devono essere i governi, il Parlamento e l’Unione Europea che sono democraticamente eletti. Questo è uno sforzo che l’Europa deve fare.







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