Gli anziani punto di riferimento, anche nella disabilità
Capire come aiutare al meglio, chi a causa dell’età avanzata, ha conseguenze sulla
capacità fisiche ed intellettuali, per vivere dignitosamente l’ultima parte del
cammino della vita. E’ questo l’obiettivo del convegno “Invecchiamento e disabilità”
promosso dalla Pontificia Accademia per la vita, che si è svolto a Roma. L’incontro
ha visto la presenza di relatori provenienti da diverse università e centri di ricerca
di tutto il mondo. Il servizio di Marina Tomarro:00:02:49:75
65
anni: questa è l’età in cui fino a qualche anno fa si incominciava ad essere considerati
anziani. Ma oggi la prospettiva è cambiata, considerando le differenze culturali sociali
ed economiche tra i vari paesi della terra. In Occidente, infatti, è di circa 85 anni
l’aspettativa dell’esistenza di un uomo, mentre in alcune zone del Sud del mondo cala
drasticamente sotto i 40. Ma allora, cosa vuol dire essere anziani oggi? Matilde
Leonardi, direttore dell’unità di neurologia dell’Istituto Carlo Besta di Milano:
R.
– Teniamo conto che essere anziani oggi è sicuramente una parte dello sviluppo naturale
della migliorata condizione attorno a noi, per cui è sicuramente legato a tanti progressi
della medicina e della scienza. E anche che su 100 anziani, 70 sono una risorsa incredibile
per la nostra società: gli altri 30 sono quelli che probabilmente hanno malattie,
sui quali si concentrano le paure dei sistemi di welfare. Si considera essere anziano
come un momento della vita che costa. Credo che questa teoria dello scarto, tanto
evidenziata e in maniera anche forte dal Papa, sia una teoria che una società civile
deve rifiutare fortemente.
D. – Quali consigli può dare per “invecchiare bene”?
R.
– Cercare di mantenere nella testa l’idea che non è l’età che fa di noi un anziano,
ma la capacità di trovare nuovi interessi ogni mattina alzandosi, ed essere grati
di questo piacere della vita, che può esistere anche in mezzo alla sofferenza e alla
fatica. Si trova sempre, ogni giorno, se si vuole un motivo per cui è un piacere vivere.
E
nella società attuale si parla spesso o di anziani giovanili o di una terza età vista
solo dal punto di vista clinico; si fa fatica a parlare di una vecchiaia vissuta in
un cammino normale, dove ad un certo punto, può entrare anche la disabilità. Adriano
Pessina, direttore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore:
“Il punto fondamentale è che la vecchiaia normale, oggi – in Occidente
– non ha ancora uno spazio adeguato. Tanto è vero che la vecchiaia normale rischia
in qualche modo di essere assorbita all’interno di dinamiche non la rispettano nella
sua specificità. Sulla vecchiaia grava questo peso: che laddove venga a mancare l’autonomia,
l’indipendenza e l’autosufficienza, proprio perché si è vecchi non abbia più senso
continuare a vivere. Quindi, non siamo in grado di dare valore al tempo della vecchiaia.
Invece, io credo che la vecchiaia abbia anche una dimensione quasi profetica nei confronti
della società, perché ci fa capire che l’uomo ha un momento in cui compie la propria
identità. Quindi, la vecchiaia in questo ha la capacità di dare un contributo ai giovani
e agli adulti come modello di punto di riferimento di un’identità che non è più solamente
sociale, non è solamente culturale. Ma questo è un lavoro al quale – secondo me –
siamo tutt’altro che preparati!”.