2014-02-21 15:47:51

Emergenza umanitaria in Sud Sudan. Msf: civili bloccati nei combattimenti


Sempre più drammatica la situazione in Sud Sudan. L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati denuncia la fuga in Kenya di oltre 18 mila cittadini sud sudanesi dallo scoppio degli scontri tra le forze del presidente Salva Kiir e i ribelli fedeli all'ex vicepresidente, Riek Machar. Sempre secondo l’Acnur, hanno chiesto tutti asilo politico. Intanto, dall’interno del Paese giungono notizie drammatiche: circa 150 civili sono annegati nel fiume Nilo mentre tentavano di fuggire dai combattimenti. Secondo testimoni i ribelli, hanno sparato alle loro barche mentre cercavano di attraversare il fiume e questi sono saltati in acqua, annegando. Altre persone, inoltre, sono state uccise mentre cercavano rifugio in ospedali e in Chiese. Sull’emergenza in atto, soprattutto sul fronte umanitario, Salvatore Sabatino ha intervistato Stefano Zannini, responsabile del supporto alle operazioni per Medici senza Frontiere Italia:RealAudioMP3

R. – Continuiamo ad assistere ai combattimenti e alle conseguenze di questi combattimenti: quindi, migliaia di persone che si muovono, spesso a piedi, viaggi molto lunghi, molti muoiono in cammino perché non ce la fanno. I livelli di bisogno sono estremamente importanti sia da un punto di vista medico che da un punto di vista alimentare.

D. – Si ha l’impressione che i civili siano, di fatto, abbandonati a se stessi: è davvero così, o comunque c’è una sorta di tutela nei loro confronti?

R. – Quello che vediamo noi è che la popolazione civile è intrappolata in un conflitto: intrappolata nel senso che molte città sono oggetto di attacchi e contrattacchi da parte delle forze governative e delle forze ribelli e la popolazione civile non ha, come unica possibilità, che quella di fuggire nella boscaglia e cercare riparo. Nella boscaglia, però, rimane esposta a rischi medici come la malaria o altre patologie legate all’acqua contaminata. Non ha cibo e non ha nemmeno generi di prima necessità, che le permettano di sopravvivere in condizioni dignitose.

D. – Avete stimato che quasi 300 mila persone non hanno accesso alle cure, e la situazione di caos generale ovviamente produce anche un sempre maggiore rischio-epidemie…

R. – Sì, questo è vero, tanto per le persone che si trovano nella boscaglia, quanto per le persone che si trovano all’interno dei campi sfollati del Sudan del Sud. Stiamo registrando un numero crescente di casi di morbillo, per esempio a Juba, così come altre patologie come la malaria e la dissenteria. Soprattutto, la malaria è estremamente preoccupante perché il Paese negli ultimi tre anni ha registrato un continuo incremento del numero di casi fino a livelli mai registrati negli anni precedenti.

D. – Anche per i vostri operatori presenti in Sud Sudan – questo lo ripetete da tempo – è diventato praticamente impossibile lavorare, perché non è garantita la sicurezza…

R. – E’ vero: la sicurezza, purtroppo, tanto dei pazienti quanto degli operatori delle strutture medico-sanitarie, non è garantita. Ahimé, nelle ultime tre settimane abbiamo assistito a diversi attacchi, saccheggi e distruzioni, anche delle nostre strutture, ed è una situazione che non può che peggiorare, perché se anche le poche organizzazioni che riescono a lavorare in prima linea e a fornire aiuti di base vengono esposte a questo tipo di attacchi, la situazione inevitabilmente è destinata a diventare peggiore in tempi molto brevi.

D. – Di cosa c’è maggiormente bisogno, in questo momento?

R. – Direi che tra i bisogno principali ci sono sicuramente l’accesso alle cure mediche, l’alimentazione, quindi cibo e acqua: tutto quello che è necessario perché queste persone possano sopravvivere.







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