Messaggio del Papa alla Pontificia Accademia per la Vita. Testo integrale
Messaggio di Papa Francesco al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita,
mons. Carrasco De Paula, in occasione dell’Assemblea generale dell’Accademia e nel
ventennale della sua istituzione con il Motu Proprio “Vitae Mysterium” di Giovanni
Paolo II, l’11 febbraio 1994. Di seguito il testo integrale del Messaggio:
Al
Venerato Fratello Mons. Carrasco De Paula Presidente della Pontificia Accademia
per la Vita Invio il mio cordiale saluto a Lei, ai Signori Cardinali e a tutti
i partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, nel
ventennale della sua istituzione. In questa occasione il nostro pensiero riconoscente
va al beato Giovanni Paolo II, che istituì tale Accademia, come pure ai Presidenti
che ne hanno promosso l’attività e a tutti coloro che, in ogni parte del mondo, collaborano
alla sua missione. Il compito specifico dell’Accademia, espresso nel Motu proprio
“Vitae mysterium”, è di «studiare, informare e formare circa i principali problemi
di biomedicina e di diritto, relativi alla promozione e alla difesa della vita, soprattutto
nel diretto rapporto che essi hanno con la morale cristiana e le direttive del Magistero
della Chiesa» (n. 4). In questo modo voi vi proponete di far conoscere agli uomini
di buona volontà che scienza e tecnica, poste al servizio della persona umana e dei
suoi diritti fondamentali, contribuiscono al bene integrale della persona.
I
lavori che svolgete in questi giorni hanno per tema: “Invecchiamento e disabilità”.
È un tema di grande attualità, che sta molto a cuore alla Chiesa. In effetti, nelle
nostre società si riscontra il dominio tirannico di una logica economica che esclude
e a volte uccide, e di cui oggi moltissimi sono vittime, a partire dai nostri anziani.
«Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa.
Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione,
ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice,
l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei
bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono
“sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 53). La situazione
socio-demografica dell’invecchiamento ci rivela chiaramente questa esclusione della
persona anziana, specie se malata, con disabilità, o per qualsiasi ragione vulnerabile.
Si dimentica, infatti, troppo spesso che le relazioni tra gli uomini sono sempre relazioni
di dipendenza reciproca, che si manifesta con gradi diversi durante la vita di una
persona ed emerge maggiormente nelle situazioni di anzianità, di malattia, di disabilità,
di sofferenza in generale. E questo richiede che nei rapporti interpersonali come
in quelli comunitari si offra l’aiuto necessario, per cercare di rispondere al bisogno
che la persona presenta in quel momento.
Alla base delle discriminazioni e
delle esclusioni vi è però una questione antropologica: quanto vale l’uomo e su che
cosa si basa questo suo valore. La salute è certamente un valore importante, ma non
determina il valore della persona. La salute inoltre non è di per sé garanzia di felicità:
questa, infatti, può verificarsi anche in presenza di una salute precaria. La pienezza
a cui tende ogni vita umana non è in contraddizione con una condizione di malattia
e di sofferenza. Pertanto, la mancanza di salute e la disabilità non sono mai una
buona ragione per escludere o, peggio, per eliminare una persona; e la più grave privazione
che le persone anziane subiscono non è l’indebolimento dell’organismo e la disabilità
che ne può conseguire, ma l’abbandono, l’esclusione, la privazione di amore.
Maestra
di accoglienza e solidarietà è, invece, la famiglia: è in seno alla famiglia che l’educazione
attinge in maniera sostanziale alle relazioni di solidarietà; nella famiglia si può
imparare che la perdita della salute non è una ragione per discriminare alcune vite
umane; la famiglia insegna a non cadere nell’individualismo e equilibrare l’io con
il noi. È lì che il “prendersi cura” diventa un fondamento dell’esistenza umana e
un atteggiamento morale da promuovere, attraverso i valori dell’impegno e della solidarietà.
La testimonianza della famiglia diventa cruciale dinanzi a tutta la società nel riconfermare
l’importanza della persona anziana come soggetto di una comunità, che ha una sua missione
da compiere, e solo apparentemente riceve senza nulla offrire. «Ogni volta che cerchiamo
di leggere nella realtà attuale i segni dei tempi, è opportuno ascoltare i giovani
e gli anziani. Entrambi sono la speranza dei popoli. Gli anziani apportano la memoria
e la saggezza dell’esperienza, che invita a non ripetere stupidamente gli stessi errori
del passato» (ibid., 108).
Una società è veramente accogliente nei confronti
della vita quando riconosce che essa è preziosa anche nell’anzianità, nella disabilità,
nella malattia grave e persino quando si sta spegnendo; quando insegna che la chiamata
alla realizzazione umana non esclude la sofferenza, anzi, insegna a vedere nella persona
malata e sofferente un dono per l’intera comunità, una presenza che chiama alla solidarietà
e alla responsabilità. È questo il Vangelo della vita che, attraverso la vostra competenza
scientifica e professionale e sostenuti dalla Grazia, siete chiamati a diffondere.
Cari
amici, benedico il lavoro dell’Accademia per la Vita, spesso faticoso perché richiede
di andare controcorrente, sempre prezioso perché attento a coniugare rigore scientifico
e rispetto per la persona umana. Questo ho potuto constatare conoscendo le vostre
attività e le vostre pubblicazioni; e questo stesso spirito vi auguro di custodire
nel futuro del vostro servizio alla Chiesa e all’intera famiglia umana. Il Signore
vi benedica e la Madonna vi protegga sempre.