2014-02-19 07:40:37

La Cina rifiuta l’idea di incriminare la Corea del Nord per crimini contro l’umanità


Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, è “seriamente preoccupato” e “profondamente turbato” per la situazione dei diritti umani in Corea del Nord, descritta nel rapporto della commissione di inchiesta ad hoc delle Nazioni Unite. Pyongyang rifiuta “categoricamente e totalmente” il rapporto e parla di “informazioni false fornite da forze ostili al regime”. Da parte sua la Cina si dichiara contraria al deferimento della Corea del Nord alla Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità, una decisione che dovrà essere presa dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Fausta Speranza ne ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:RealAudioMP3

R. – Il fatto che sicuramente all’interno della Corea del Nord si applicasse da decenni ormai un tentativo di soppressione violenta delle opposizioni era sotto gli occhi di tutti. Ora, certo, c’è questo corposo rapporto delle Nazioni Unite che mette su carta quanto noi prevedevamo o comunque pensavamo si stesse verificando in quel Paese.

D. – Il rapporto, peraltro, parla di decenni …

R. – Sì, perché l’idea è sicuramente di Kim-Il Sung, cioè il primo leader maximo della Corea del Nord, e poi suo figlio, e poi suo nipote, sono andati dietro alle decisioni di Kim-Il Sung. Non meraviglia tanto perché è un regime assolutamente totalitario e che fa della paura, del terrore, della denuncia, delle torture alcuni degli strumenti fondamentali per poter detenere il potere. E, se si va a leggere il Rapporto, si trova che, in caso di guerra, in caso di rivoluzione interna, Kim-Il Sung – e anche questo è un ordine poi seguito dai suoi successori – avesse dato già la disposizione per l’eliminazione fisica di tutti coloro i quali si trovavano, per esempio, nei campi di concentramento, perché naturalmente testimoni di quello che stava avvenendo. La cosa che mi colpisce è che è come tornare indietro a 70 anni fa, cioè nel momento in cui si aprivano i campi di concentramento e di sterminio nazisti: il primo ordine era quello dell’eliminazione fisica di coloro i quali erano dentro, in quanto testimoni. C’è un’immagine molto forte e molto significativa di quel Paese, e sono i funerali di Kim Jong Il, che non è morto nel ’52, ’53 ma solo poco tempo fa. Eppure, quasi tutto il popolo era schierato lungo la strada con scene di isteria collettiva che veramente non si vedevano da anni. Sì, tutto questo è possibile: possibile in società estremamente – estremamente – chiuse, come lo è quella nordcoreana.

D. – Ma la comunità internazionale, a questo punto, con un Rapporto così dettagliato, è anche chiamata in causa: che cosa si può fare di fronte a eccidi di questo tipo?

R. – Come al solito, teoricamente, sì. Teoricamente, la comunità internazionale dovrebbe fermarsi, mettere un punto fermo e dire alla Corea del Nord: “Bisogna intervenire. Smettete con quello che state facendo”. Ripeto e sottolineo ancora una volta la parola “teoricamente”: non è così semplice, non è così automatico. C’è un problema ed è un problema assolutamente serio, che non si può scavalcare: è il problema della Cina. Cioè, anche quest’anno in cui i commissari dell’Onu hanno investigato su quanto avveniva nella Corea del Nord, la Cina non ha favorito l’investigazione. E la Cina continua a rispedire in Corea del Nord coloro i quali fuggono dalla Corea del Nord, ben sapendo quale sarà la punizione che spetterà a queste persone che tentano di ottenere asilo in Cina. E’ vero, c’è una condanna chiara da parte dell’Onu, questa questione potrebbe anche essere portata alla Corte penale internazionale, ma poi non so dove potremmo arrivare. Ed è chiaro che la voce della Cina, non solo nell’area ma a livello internazionale, in questo momento è molto ascoltata.

D. – Potrebbe però arrivare il momento in cui persino la Cina abbia interesse a “scaricare” Pyongyang?

R. – Sarebbe bello vederlo, quel momento, ma il momento ancora non è arrivato. E faccio fatica a prevedere un momento di rottura nei rapporti tra i due Paesi.







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