Gli Usa accelerano sul piano di pace israelo-palestinese
Il segretario di stato Usa, John Kerry continua la sua missione per illustrare il
contenuto di un piano di pace israelo-palestinese che si appresta a sottoporre alle
parti. Ieri a Parigi ha incontrato il Presidente nell'Autorità Nazionale Palestinese
Abu Mazen. Da parte sua, il premier israeliano Netanyahu sarà ricevuto fra due settimane
a Washington dal presidente, Barack Obama. Come definire questa accelerata di Washington?
Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Alberto Ventura, docente di Storia
dei Paesi islamici presso l’Università della Calabria:
R. – L’accelerazione
dal punto di vista tattico, quindi degli interessi momentanei, si spiega secondo me
con la situazione di incertezza, degli squilibri che si stanno creando nella regione
e che chiaramente gli Stati Uniti vorrebbero in qualche modo provare a governare.
Per quanto riguarda il piano più di lunga durata, io credo che non ci siano al momento
elementi che possano far supporre che questa iniziativa, più di altre realizzate in
passato in condizioni assai più favorevoli, possa avere qualche risultato positivo.
D.
– Da parte palestinese, ci sono due punti fermi: si deve risolvere il problema dei
ritorno dei rifugiati – intere famiglie costrette a lasciare le proprie case nel ’48
e mai più riammesse nella loro terra – e la questione annosa di Gerusalemme, una città
che, secondo i palestinesi, non va divisa. Punti, questi, assolutamente caldissimi…
R.
– Punti caldi che riguardano un problema duplice, in un certo senso. Ho letto che
le reazioni di Netanyahu a questo possibile incontro tra palestinesi e amministrazione
americana sono state piuttosto scettiche e secondo me, molto giustamente, Netanyahu
divide il problema in due parti: da una parte, c’è la questione dei Territori occupati
e quindi anche tutto ciò che, dal punto di vista pratico, riguarda la questione dei
rifugiati. Dall’altro, c’è un problema più di fondo, più culturale, se vogliamo, che
riguarda la stessa convivenza di uno Stato ebraico in mezzo ad una serie di Stati
a maggioranza musulmana.
D. – E quali potrebbero essere, a questo punto, i
problemi legati proprio a una Palestina per la prima volta indipendente ai confini
di Israele? Cioè, quali sono le preoccupazioni reali dello Stato ebraico?
R.
– Le preoccupazioni dello Stato ebraico sono dovute al fatto che non si sente assolutamente
garantito, non sente come partner affidabili i palestinesi e altri Stati arabi che
potrebbero intervenire in questa questione. La storia ci ha dimostrato che in effetti
questa convivenza è piuttosto difficile perché nasce ormai tanti, tanti anni fa su
un problema di grave caratura internazionale, ma anche culturale che ha provocato,
nel corso dei decenni, talmente tanti risentimenti, talmente tanti odi che non è facile
risolverla in maniera burocratica, tecnica, con degli accordi che riguardino rientri
di coloni o cessazione di attività di colonizzazione da parte di Israele. E’ un problema
più profondo che riguarda l’accettazione, da parte degli arabi, di uno Stato ebraico
nel Medio Oriente. E’ un problema culturale, direi, di politica culturale più che
di politica in senso ristretto.
D. – Su una cosa non ci sono dubbi: una soluzione
– una possibile soluzione – della questione israelo-palestinese avrebbe comunque delle
conseguenze sull’intera area mediorientale. Ma, secondo lei, sarebbero più positive
o negative, come sostengono molti studiosi?
R. – Dipende da cosa si intende,
innanzitutto, per positive o negative, quali possano essere le ripercussioni che si
prevedono. Il problema veramente nuovo, in questa situazione, secondo me è la posizione
dell’Egitto, in questo momento, che finora aveva garantito – bene o male – un determinato
equilibrio, dopo la guerra del ’73, dopo l’avvicinamento dell’Egitto di Sadat a Israele
sul piano internazionale – gli Accordi di Camp David – e che ora in sostanza ha rimesso
in discussione tutto. In un certo senso, il disimpegno dell’Egitto dalle questioni
del Medio Oriente, che mi sembra ormai piuttosto evidente, sta creando queste preoccupazioni
di risolvere in qualche modo, almeno di trovare il "modus" di coabitazione temporaneo,
nell’incertezza che la mancanza di un protagonista come l’Egitto possa provocare ulteriori
frammentazioni e polverizzazioni di una situazione già esplosiva.