Denuncia dell'Onu: "decenni" di gravissimi crimini contro l’umanità in Corea del Nord
Numerosi e gravissimi crimini contro l'umanità avvengono in Corea del Nord: è quanto
denuncia il rapporto della Commissione d'inchiesta dell'Onu sulle violazioni dei diritti
umani a Pyongyang. E’ un pesante atto di accusa contro il regime di Kim Jong-un. Si
legge di “uno Stato che non ha alcun paragone nel mondo contemporaneo", al punto da
giustificare il deferimento alla Corte penale internazionale dell'Aja o l'istituzione
di un tribunale dell'Onu ad hoc. Le quasi 400 pagine del documento raccontano campi
di prigionia (o lavoro), "scomparse forzate" anche all'estero, politiche di indottrinamento
da parte del regime e uso del cibo come arma di ricatto nei confronti della popolazione.
Fausta Speranza ne ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia
delle relazioni internazionali all’Università del Salento:
R. – Il fatto
che sicuramente all’interno della Corea del Nord si applicasse da decenni ormai un
tentativo di soppressione violenta delle opposizioni era sotto gli occhi di tutti.
Ora, certo, c’è questo corposo rapporto delle Nazioni Unite che mette su carta quanto
noi prevedevamo o comunque pensavamo si stesse verificando in quel Paese.
D.
– Il rapporto, peraltro, parla di decenni …
R. – Sì, perché l’idea è sicuramente
di Kim-Il Sung, cioè il primo leader maximo della Corea del Nord, e poi suo figlio,
e poi suo nipote, sono andati dietro alle decisioni di Kim-Il Sung. Non meraviglia
tanto perché è un regime assolutamente totalitario e che fa della paura, del terrore,
della denuncia, delle torture alcuni degli strumenti fondamentali per poter detenere
il potere. E, se si va a leggere il Rapporto, si trova che, in caso di guerra, in
caso di rivoluzione interna, Kim-Il Sung – e anche questo è un ordine poi seguito
dai suoi successori – avesse dato già la disposizione per l’eliminazione fisica di
tutti coloro i quali si trovavano, per esempio, nei campi di concentramento, perché
naturalmente testimoni di quello che stava avvenendo. La cosa che mi colpisce è che
è come tornare indietro a 70 anni fa, cioè nel momento in cui si aprivano i campi
di concentramento e di sterminio nazisti: il primo ordine era quello dell’eliminazione
fisica di coloro i quali erano dentro, in quanto testimoni. C’è un’immagine molto
forte e molto significativa di quel Paese, e sono i funerali di Kim Jong Il, che non
è morto nel ’52, ’53 ma solo poco tempo fa. Eppure, quasi tutto il popolo era schierato
lungo la strada con scene di isteria collettiva che veramente non si vedevano da anni.
Sì, tutto questo è possibile: possibile in società estremamente – estremamente – chiuse,
come lo è quella nordcoreana.
D. – Ma la comunità internazionale, a questo
punto, con un Rapporto così dettagliato, è anche chiamata in causa: che cosa si può
fare di fronte a eccidi di questo tipo?
R. – Come al solito, teoricamente,
sì. Teoricamente, la comunità internazionale dovrebbe fermarsi, mettere un punto fermo
e dire alla Corea del Nord: “Bisogna intervenire. Smettete con quello che state facendo”.
Ripeto e sottolineo ancora una volta la parola “teoricamente”: non è così semplice,
non è così automatico. C’è un problema ed è un problema assolutamente serio, che non
si può scavalcare: è il problema della Cina. Cioè, anche quest’anno in cui i commissari
dell’Onu hanno investigato su quanto avveniva nella Corea del Nord, la Cina non ha
favorito l’investigazione. E la Cina continua a rispedire in Corea del Nord coloro
i quali fuggono dalla Corea del Nord, ben sapendo quale sarà la punizione che spetterà
a queste persone che tentano di ottenere asilo in Cina. E’ vero, c’è una condanna
chiara da parte dell’Onu, questa questione potrebbe anche essere portata alla Corte
penale internazionale, ma poi non so dove potremmo arrivare. Ed è chiaro che la voce
della Cina, non solo nell’area ma a livello internazionale, in questo momento è molto
ascoltata.
D. – Potrebbe però arrivare il momento in cui persino la Cina abbia
interesse a “scaricare” Pyongyang?
R. – Sarebbe bello vederlo, quel momento,
ma il momento ancora non è arrivato. E faccio fatica a prevedere un momento di rottura
nei rapporti tra i due Paesi.