2014-02-17 14:21:45

La condanna dell'Onu per l'attentato in Sinai. Camille Eid: rischio di destabilizzazione per l'intero Egitto


L’Onu condanna fermamente l’attacco terroristico di domenica al valico di Taba sul Mar Rosso e il segretario generale Ban Ki-moon, chiede che i responsabili vengano assicurati alla giustizia. La deflagrazione avvenuta a 100 metri dal confine con Israele, ha coinvolto un gruppo di turisti provenienti dal Monastero di Santa Caterina, nel Sinai, provocando 5 morti. Quanto accaduto porta sotto i riflettori internazionali la difficile situazione della penisola egiziana. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Camille Eid, analista dell’area mediorientale del quotidiano Avvenire:RealAudioMP3

R. - Il Sinai assiste periodicamente ad attacchi condotti da islamisti locali, senza poi parlare dei beduini coinvolti nel contrabbando e in altre attività criminali. Basti pensare che l’esercito egiziano fino alla fine dello scorso anno aveva denunciato la perdita 87 soldati. Un numero quasi identico erano state le perdite degli islamisti, senza parlare poi delle centinaia di arresti… Nel Sinai, si svolge una guerra clamorosa, di cui si sente parlare solo quando l’obiettivo riguarda dei turisti.

D. - Proprio su questo punto, bisogna dire che l’obiettivo dell’attacco - un autobus di turisti stranieri - è molto significativo, visto che il clamore internazionale rischia di arrecare ulteriori danni all’industria turistica egiziana, che è comunque una delle prime voci del Pil del Paese…

R. - Chiaramente. L’industria turistica è una fonte principale dell’economia egiziana, ma noi sappiamo che dalle violenze che hanno scosso l’Egitto la scorsa estate, la maggior parte dei Paesi europei ha sconsigliato le mete turistiche ai propri cittadini, non solo nelle capitale, ma anche nella zona del Sinai e nelle località frequentatissime del Mar Rosso.

D. - Però, bisogna anche sottolineare che l’Egitto, che ha bisogno di ripartire, deve per forza di cose ripartire attraverso il turismo, che è il suo punto di forza…

R. - Certamente, ma per questo ha bisogno di stabilità politica. Adesso, il primo passo è stato compiuto con l’approvazione della nuova Costituzione. Tutti puntano alle prossime elezioni presidenziali che vedranno, molto probabilmente, l’elezione del generale Sisi e le elezioni legislative. Senza di questo, chiaramente la situazione del Sinai, che risente molto delle ricadute politiche al Cairo, sarà in un vicolo cieco.

D. - Come dicevi, da mesi l’esercito egiziano è impegnato nel Sinai, in quella che viene descritta da tutti come la sua più grande operazione militare in quell’area della Guerra del Kippur: stiamo parlando del ’73. A questo punto, la cooperazione tra i due eserciti - egiziano e israeliano - diventa essenziale per garantire la sicurezza. In che modo ci possiamo immaginare questa ulteriore collaborazione tra lo Stato ebraico e l’Egitto?

R. - Secondo il trattato di pace, Il Cairo deve coordinare con Israele ogni manovra che coinvolga mezzi militari e armi pesanti nel Sinai. Abbiamo visto che anche sotto la presenza di Morsi, l’esercito egiziano era riuscito a introdurre una trentina di carri armati, che hanno preso posizione lungo il confine tra il Sinai e la Striscia di Gaza. Il Sinai poi dovrebbe rimanere smilitarizzato. Quindi, negli ultimi anni questa collaborazione è stata rafforzata, oltre quindi allo scambio di informazioni di intelligence tra Egitto ed Israele. Sappiamo, inoltre, che gli aiuti americani non sono stati tagliati dopo il golpe dello scorso luglio, proprio per non sfavorire questa collaborazione tra i due eserciti, egiziano e israeliano.

Ultimo aggiornamento: 18 febbraio







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