La condanna dell'Onu per l'attentato in Sinai. Camille Eid: rischio di destabilizzazione
per l'intero Egitto
L’Onu condanna fermamente l’attacco terroristico di domenica al valico di Taba sul
Mar Rosso e il segretario generale Ban Ki-moon, chiede che i responsabili vengano
assicurati alla giustizia. La deflagrazione avvenuta a 100 metri dal confine con Israele,
ha coinvolto un gruppo di turisti provenienti dal Monastero di Santa Caterina, nel
Sinai, provocando 5 morti. Quanto accaduto porta sotto i riflettori internazionali
la difficile situazione della penisola egiziana. Salvatore Sabatino ne ha parlato
con Camille Eid, analista dell’area mediorientale del quotidiano Avvenire:
R. - Il Sinai
assiste periodicamente ad attacchi condotti da islamisti locali, senza poi parlare
dei beduini coinvolti nel contrabbando e in altre attività criminali. Basti pensare
che l’esercito egiziano fino alla fine dello scorso anno aveva denunciato la perdita
87 soldati. Un numero quasi identico erano state le perdite degli islamisti, senza
parlare poi delle centinaia di arresti… Nel Sinai, si svolge una guerra clamorosa,
di cui si sente parlare solo quando l’obiettivo riguarda dei turisti.
D. -
Proprio su questo punto, bisogna dire che l’obiettivo dell’attacco - un autobus di
turisti stranieri - è molto significativo, visto che il clamore internazionale rischia
di arrecare ulteriori danni all’industria turistica egiziana, che è comunque una delle
prime voci del Pil del Paese…
R. - Chiaramente. L’industria turistica è una
fonte principale dell’economia egiziana, ma noi sappiamo che dalle violenze che hanno
scosso l’Egitto la scorsa estate, la maggior parte dei Paesi europei ha sconsigliato
le mete turistiche ai propri cittadini, non solo nelle capitale, ma anche nella zona
del Sinai e nelle località frequentatissime del Mar Rosso.
D. - Però, bisogna
anche sottolineare che l’Egitto, che ha bisogno di ripartire, deve per forza di cose
ripartire attraverso il turismo, che è il suo punto di forza…
R. - Certamente,
ma per questo ha bisogno di stabilità politica. Adesso, il primo passo è stato compiuto
con l’approvazione della nuova Costituzione. Tutti puntano alle prossime elezioni
presidenziali che vedranno, molto probabilmente, l’elezione del generale Sisi e le
elezioni legislative. Senza di questo, chiaramente la situazione del Sinai, che risente
molto delle ricadute politiche al Cairo, sarà in un vicolo cieco.
D. - Come
dicevi, da mesi l’esercito egiziano è impegnato nel Sinai, in quella che viene descritta
da tutti come la sua più grande operazione militare in quell’area della Guerra del
Kippur: stiamo parlando del ’73. A questo punto, la cooperazione tra i due eserciti
- egiziano e israeliano - diventa essenziale per garantire la sicurezza. In che modo
ci possiamo immaginare questa ulteriore collaborazione tra lo Stato ebraico e l’Egitto?
R.
- Secondo il trattato di pace, Il Cairo deve coordinare con Israele ogni manovra che
coinvolga mezzi militari e armi pesanti nel Sinai. Abbiamo visto che anche sotto la
presenza di Morsi, l’esercito egiziano era riuscito a introdurre una trentina di carri
armati, che hanno preso posizione lungo il confine tra il Sinai e la Striscia di Gaza.
Il Sinai poi dovrebbe rimanere smilitarizzato. Quindi, negli ultimi anni questa collaborazione
è stata rafforzata, oltre quindi allo scambio di informazioni di intelligence
tra Egitto ed Israele. Sappiamo, inoltre, che gli aiuti americani non sono stati tagliati
dopo il golpe dello scorso luglio, proprio per non sfavorire questa collaborazione
tra i due eserciti, egiziano e israeliano.