Svizzera: sì alla diagnosi pre-impianto, critiche dei vescovi
Sì alla diagnosi pre-impianto in caso di procreazione assistita: è il verdetto, reso
noto il 13 febbraio, della Commissione nazionale di etica (Cne) in Svizzera. Tale
tecnica - che permette di analizzare un embrione concepito in vitro prima che venga
impiantato in utero, allo scopo di individuarne eventuali anomalie - sarà prossimamente
al centro del dibattito parlamentare. La Cne ha giustificato la sua decisione definendola
“una misura di solidarietà nei confronti di quelle coppie che potrebbero trasmettere
una malattia ereditaria grave ai loro figli”. Non solo: sempre secondo la Cne, “la
protezione dell’embrione non giustifica l’imposizione, sulle spalle dei genitori,
di un fardello troppo pesante, fonte di sofferenza”. Resta, quindi, inascoltata la
voce della Chiesa cattolica svizzera che più volte, nei mesi scorsi, si era espressa
sull’argomento. Basti ricordare la dichiarazione diffusa lo scorso settembre dalla
Commissione di bioetica della Conferenza episcopale svizzera (Ces): “Come si possono
selezionare ed eliminare degli embrioni in un laboratorio medico?”, domandava Thierry
Collaud, presidente della Commissione, mettendo in guardia dalle derive etiche della
diagnosi pre-impianto, che potrebbe divenire “una porta aperta per entrare nell’era
dell’eugenetica”. Di qui, il richiamo forte della Chiesa cattolica elvetica al fatto
che “una società è autenticamente umana quando, pur lottando contro la sofferenza
e la malattia, si dimostra capace di accogliere ogni persona nella sua dignità e di
fare spazio ai più piccoli e più vulnerabili”. Forte di “questi principi evangelici”,
concludeva Thierry Collaud, “la Chiesa rifiuterà sempre di considerare la selezione
e l’eliminazione degli esseri umani come un progresso”. (I.P.)