Visita del Papa nella parrocchia romana di San Tommaso: intervista con don Antonio
D'Errico
Ultimi ritocchi prima della visita di Papa Francesco, questa domenica pomeriggio.
La parrocchia di San Tommaso Apostolo nel quartiere romano dell’Infernetto si prepara
a vivere il culmine del cinquantesimo anniversario dalla fondazione. Il Santo Padre
arriverà alle 16.00, incontrerà i bambini, i disabili, i malati, confesserà cinque
persone e infine celebrerà la Santa Messa nella nuova chiesa, recentemente costruita
per rispondere alle esigenze di una “periferia” in continua crescita, tra le più “giovani”
della capitale con oltre 130 battesimi l’anno. Paolo Ondarza ha incontrato
il parroco, don Antonio D’Errico:
R. - La prima
preparazione, che io ho chiesto a me stesso e ai parrocchiani, è stata quella spirituale
della preghiera. Questo è un grande dono di Dio, ho detto subito, lo dobbiamo cogliere
appunto come un regalo della Provvidenza, non tanto come un evento mediatico. E quindi
la preghiera è al centro del nostro incontro con il Papa. Il centro di tutta la visita,
dunque, sarà proprio la celebrazione eucaristica.
D. – E’ un anno particolare
questo per la parrocchia di San Tommaso...
R. – Certamente. E’ il motivo, in
fondo, per cui abbiamo invitato il Santo Padre: il 19 febbraio prossimo ricorreranno,
infatti, i 50 anni dall’istituzione di questa parrocchia.
D. – Il Papa, che
ama indicare le periferie come luogo esistenziale di attenzione pastorale, visita
una parrocchia alla periferia di Roma, una periferia particolare...
R. – Certamente.
Siamo veramente ai confini della diocesi di Roma. Non possiamo però chiamarla periferia
per le problematiche di degrado e di quant’altro si possa immaginare. In fondo, però,
anche in questo nostro quartiere, anche se può dirsi un quartiere di ceto medio-alto,
la periferia che può incontrare il Papa è proprio quella di una tendenziale tentazione
delle famiglie che vi abitano ad isolarsi nelle loro case, disseminate in un territorio
parrocchiale di più di tre chilometri; la tentazione di chiudersi nel loro guscio
di casa e non interessarsi neanche del vicino. Ci sono certamente dei poveri in questo
quartiere, poveri che vi abitano da molto tempo e tanti pensionati “provati” dalle
tasse. E poi c’è l’immigrazione. C’è una grande comunità, che è quella proveniente
dallo Sri Lanka, ma c’è anche tanta presenza di abitanti, cittadini provenienti dalla
Romania. Prestano i loro servizi presso i cantieri, presso i giardini delle case o
anche come badanti presso tanti anziani. Un’altra realtà sono le dieci case di riposo
di anziani, gestite quasi tutte da personale laico, cui noi come parrocchia però siamo
vicini con l’assistenza spirituale.
D. – Ma è anche uno dei quartieri più
giovani della diocesi...
R. – Assolutamente. E’ uno dei quartieri più giovani.
La nostra parrocchia, in particolare, ha più di 130 battesimi l’anno. I bambini delle
comunioni aumentano sempre di più e le famiglie sono veramente tante e giovanissime.
D.
– Questo quartiere ha un nome, che è tutt’altro che rappresentativo della realtà cristiana
viva della parrocchia...
R. – Mi aspetto questa domanda anche dal Santo Padre,
innanzitutto, che mi chiederà perché questa zona di Roma si chiama Infernetto. Si
chiama Infernetto, perché qui c’erano le carbonaie e quindi all’inizio del secolo
scorso le persone che vi lavoravano uscivano dal lavoro nere, nere di fuliggine per
avere toccato il carbone. Chiunque vedeva gli operai diceva: “Questi vengono da un
inferno” e “un piccolo inferno ci sarà lì”. Quindi, non ha nulla a che fare con questioni
legate al diavolo, al demoniaco, a tutto questo.
D. – Collegandoci ai fatti
più recenti di cronaca, questo quartiere è stato anche toccato dall’alluvione, e il
Papa recentemente ha speso parole anche per chi nelle ultime settimane è stato colpito
da questa pioggia così abbondante a Roma che ha provocato tanti disagi...
R.
– Penso proprio che il Santo Padre abbia parlato anche di noi. L’avvento dell’edilizia
in questo quartiere ha veduto sì la costruzione di tante case e nuclei abitativi,
ma anche la carenza della creazione da parte delle istituzioni di quelle infrastrutture
che potessero dare un riscontro a tutte queste abitazioni. Tre anni fa, purtroppo,
quando c’è stata quell’alluvione veramente forte, abbiamo avuto anche un tragico decesso,
e un povero abitante e cittadino cingalese ha perso la vita.
D. – Le chiedo
di descriverci un elemento positivo del luogo in cui lei si trova quotidianamente
ad operare..
R. – Di positivo ci sono tante cose. La comunità cristiana evidenzia
veramente, vedo in questi anni, una grande attenzione per i poveri. La parrocchia
assiste nel suo piccolo centro Caritas parrocchiale circa 50, 60 poveri alla settimana
con un pacco viveri. E’ inoltre costantemente aperto un luogo dove raccogliamo vestiario
usato per quanti necessitano una casa. I poveri possono venire a prenderlo e a loro
volta, se possono, lasciare una piccolissima offerta irrisoria, con la quale la parrocchia
vive l’aiuto missionario lontano da noi. L’aiuto va innanzitutto alla nostra parrocchiana,
la dott.ssa Chiara Castellani, in Congo, che ha aperto una scuola per infermieri,
assiste un ospedale e fa tante opere di bene, grazie anche al nostro aiuto. Ma penso
anche ad un asilo che abbiamo costruito in Albania, penso all’aiuto per la costruzione
di una Chiesa in Costa d’Avorio o al sostegno che mandiamo ogni anno ai bambini di
Betlemme assistiti dalle Suore della Carità.
D. – Che cosa vuol dire per lei
questa visita del Papa?
R. – Personalmente direi che è una grande gioia. Si
avvicina nella mia vita anche il 25.mo di ordinazione ed è un grande stimolo ad essere
confermato nella vocazione e nel servizio che la Chiesa mi chiede come parroco.