Cipro: riaperti a Nicosia i colloqui di pace sotto il controllo Onu
Sono ripresi ieri a Nicosia, sotto l’egida dell’Onu, dopo oltre un anno e mezzo i
colloqui tra il presidente della Repubblica di Cipro, Nicos Anastasiades, e il capo
della comunità turco-cipriota, Devis Eroglu, per riavviare il processo di riunificazione
dell’isola, divisa dal 1974 tra Sud sotto l’influenza di Atene e Nord sotto l’influenza
di Ankara. Roberta Gisotti ha intervistato il collega dell’Ansa Furio Morroni,
a Nicosia:
D. – Quali speranze
dopo 40 anni di separazione, scontri e incomprensioni tra le due comunità, di riconciliarsi?
E qual è oggi la posta in gioco?
R. – Come sempre, ogni volta che si riavviano
i negoziati, le speranze sono al massimo. Questa volta, alle speranze greco-cipriote
ed a quelle turco-cipriote, vanno ad aggiungersi anche quelle di altri Paesi. Primo,
probabilmente, Israele, che in una pacificazione fra Cipro e la Turchia – che occupa
militarmente da 40 anni il 33% della parte Nord dell’Isola – vede un modo per rendere
più calma questa parte del Mediterraneo orientale dove, due anni fa, sono stati scoperti
enormi giacimenti sottomarini di idrocarburi – sia da parte di Israele, che ha trovato
i più grandi, sia da parte della Repubblica di Cipro. Naturalmente, per sfruttare
queste enormi ricchezze, occorre che la regione non sia sottoposta a pressioni politiche
e a stress e a continui contrasti. E’ per questo motivo che diversi analisti ritengono
che nelle ultime settimane ci siano state grandi pressioni da parte di Washington,
sia su Ankara sia su Nicosia, ovviamente dietro richiesta di Tel Aviv, per poter far
ripartire questi negoziati.
D. – Possiamo dire che, una volta tanto, gli interessi
economici possono giocare a favore della pace?
R. – Senz’altro. Infatti, converrebbe
a Cipro, converrebbe alla Turchia e converrebbe a tutti se estraessero queste risorse
e tutti ne trarrebbero ovviamente grandi benefici economici.
D. – Non si conoscono
però ancora i termini della road-map che è stata tracciata dalle Nazioni Unite,
accettata solo una settimana fa dalle parti…
R. – Non si conoscono ancora,
saranno annunciati a breve. Comunque, uno dei punti fondamentali sui quali la parte
greco-cipriota insisteva che venisse sottolineata in questo comunicato congiunto –
che il governo greco-cipriota aveva posto come precondizione per far ripartire i negoziati
– è che un eventuale accordo porti alla creazione di una Cipro unita, cioè un solo
Paese, membro delle Nazioni Unite e dell’Europa, che abbia una personalità singola
sia a livello legale, sia a livello di sovranità, cosa che è molto differente da quanto
previsto dieci anni fa nel piano dell’allora segretario generale dell’Onu, Kofi Annan,
che prevedeva invece una Federazione di Stati.
D. – Sono infatti passati dieci
anni da quel tentativo fallito. Possiamo pensare che questo rilancio all’unificazione
sia stato dettato anche dalla grave crisi finanziaria affrontata da Cipro lo scorso
anno, crisi che ha messo in ginocchio il sistema bancario locale?
R. – Dunque,
per l’estrazione effettiva e per l’uso di queste risorse dovranno passare almeno cinque-sei
anni, nella migliore delle ipotesi, per cui non sono tanto queste risorse viste come
un modo per uscire dalla crisi. Dalla crisi Cipro dovrà uscire adeguandosi alle misure
di austerità concordate con la "troika", che oggi ha appena concluso la sua terza
visita qui, sull’isola. Certamente, avviandosi verso un’uscita dalla crisi economica
e aggiungendo, magari tra quattro-cinque anni, la possibilità di sfruttare le risorse
degli idrocarburi, questo aiuterebbe molto, molto l’economia di Cipro.
D. –
Anche lo stesso fatto di presentarsi come Paese unito e quindi di acquistare maggiore
prestigio e credito a livello internazionale…
R. – Intanto, si risolverebbe
un grosso problema che c’è da quando la Repubblica di Cipro è entrata in Europa, di
fatto, spaccando un Paese già diviso dal 1974. L’Europa cioè ha ammesso soltanto una
parte di Cipro e non la parte turco-cipriota, creando ovviamente una disfunzione nel
proprio ambito. Questo, quindi, risolverebbe intanto un problema in seno all’Europa
stessa.