2014-02-09 19:34:42

L'Europa alla Svizzera: dal voto ci saranno problemi. A rischio l'accordo con l'Ue


All’indomani del voto in Svizzera, che ha visto la vittoria dei sì sulle quote degli immigrati, risponde l’Unione Europea e, in attesa di domani, giorno in cui è prevista la firma dell’accordo istituzionale Ue-Svizzera per l’adattamento dell’insieme delle norme svizzere a quello dell’Unione, da Bruxelles arriva l’avvertimento di Barroso: l’accordo “non parte sotto buoni auspici”. Dalla Germania, alla Francia, all’Italia, i Paesi europei hanno reagito negativamente al voto elvetico, che va contro il principio della libera circolazione tra l’Ue e la Svizzera. I vescovi elvetici a proposito del referendum sull'immigrazione avevano parlato di "visione dell'uomo discriminatoria". Francesca Sabatinelli ha intervistato il vescovo di Lugano, mons. Valerio Lazzeri:RealAudioMP3

R. - Certamente, i vescovi avevano segnalato il pericolo di una presa di posizione che non solo segnala il crescere della difficoltà della Svizzera a continuare a lasciare entrare nel Paese altri immigrati, ma mette la Svizzera in una posizione particolare all’interno dell’Europa, perché evidentemente questa posizione contro il procedere di questa immigrazione nel Paese significa che bisogna rivedere tutti gli accordi con l’Europa. E questo porterà la Svizzera ad un ulteriore isolamento, questo preoccupa molto.

D. – Sono stati 17 i cantoni che si sono schierati a favore, tra cui il Ticino, con un’altissima percentuale di ‘sì’: il 68,17% …

R. – Bisogna pensare che il Ticino è un cantone di frontiera, e quindi la gente è molto impaurita di fronte ad un certo aumento soprattutto dei frontalieri che vengono ad occupare tanti posti, non portando via lavoro agli svizzeri ma provocando degli effetti a livello salariale che possono lasciare molto preoccupati gli svizzeri. Il risultato dipende molto dalla collocazione geografica dei cantoni. Il Ticino ha risposto in questo modo perché in un cantone di confine è più forte la paura che questa immigrazione possa avere uno sviluppo indiscriminato. Si è giocato molto sulla paura, ma c'erano altre vie per rispondere alle preoccupazioni – anche legittime – dei ticinesi e degli svizzeri nei confronti di questa presenza che va controllata e accompagnata, ma con altri mezzi, non fissando quote che rischiano di far tornare a stagioni ormai, si sperava, superate. Si è paventato perfino il ritorno dello Statuto degli stagionali, che abbiamo sperimentato quanto sia stato deleterio per molte famiglie di immigrati.

D. – Allo stesso tempo è stato invece bocciato il secondo quesito, cioè quello che invece bloccava il finanziamento alla pratica dell’aborto …

R. – I vescovi avevano preso una posizione molto prudente perché la formulazione di questa iniziativa sembrava molto imperfetta. Si coglieva l’aspetto positivo, nel senso che l’iniziativa voleva incidere su questa mentalità abortista che ha preso sempre più piede negli ultimi decenni, però, la stessa argomentazione dell’iniziativa rischiava, facendo dell’aborto una questione privata, di compromettere altre iniziative di accompagnamento delle persone che intendevano praticare l’aborto, per esempio all’interno dei consultori. Se è una questione privata – si sarebbe potuto anche dire – allora togliamo le persone che potrebbero accompagnare coloro che stanno per fare un aborto e quindi aiutarle a distoglierle da questa decisione. L’iniziativa così formulata sembrava troppo imperfetta per poter raccogliere un consenso pieno da parte dell’organizzazione anti-aborto e quindi anche la Chiesa non ha voluto vincolare la coscienza dei cattolici ad un ‘sì’, anche se ha apprezzato l’intento di voler rimettere in discussione, di voler riaprire la riflessione su questo argomento.


Quali saranno quindi le ricadute nei rapporti tra Unione Europea e Svizzera? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a Natalino Ronzitti, professore emerito di Diritto internazionale presso l'università Luiss e consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali:RealAudioMP3

R. – Dovranno essere rivisti gli accordi che già vigevano e che vigono tuttora, tra Unione Europea e Svizzera, per la libera circolazione delle persone. Lo spazio Schengen si era allargato, il primo accordo, concluso nel 1999 per la libera circolazione delle persone, era poi entrato in vigore nel 2002 e, man mano, i benefici di questo accordo sono stati riconosciuti anche ai nuovi Stati che erano entrati nell’Unione Europea, quindi: Cipro, Malta e infine, nel 2009, con particolari restrizioni, però anche a Bulgaria e Romania. Ora tutto viene rimesso in discussione, ora si vuol capovolgere questo principio: non si entra a meno che non si faccia parte del contingente stabilito di volta in volta dalla Svizzera.

D. – I lavoratori transfrontalieri italiani sono circa 65 mila, dunque adesso cosa accadrà?

R. – Questo è un problema. Intanto, diciamo che quanto proposto dal referendum deve essere attuato e trascorrerà un lasso di tempo, si calcolano, mi sembra, due o tre anni. Poi, questi accordi devono essere rinegoziati: non è che la Svizzera possa dall’oggi al domani violare l’accordo, perché incorrerebbe in responsabilità internazionali. Quindi, si parla di rinegoziazione dell’accordo. I margini di tempo ci sono. Per quanto riguarda l’Italia, io credo che si debba esplorare la possibilità, specialmente per i frontalieri, di trovare accordi ad hoc. Ricordiamoci, poi, che noi in particolare abbiamo a disposizione taluni strumenti di cui ora ci siamo dimenticati ma che sono ancora in vigore, che sono stati negoziati nel quadro del Consiglio d’Europa, e riguardano la cooperazione transfrontaliera, e quindi anche tra Italia e Svizzera. Quindi, diciamo che tutte queste piccole aperture debbono essere esplorate.

D. – Quanto è grave, quanto è preoccupante questo voto, anche alla luce dell’ondata di nazionalismo che sta investendo l’Europa?

R. – E' grave nel senso che c’è questa politica ormai restrittiva che riguarda tutti i membri dell’Unione Europea e anche i non-membri dell’Unione Europea, che sono integrati nell’ambito dell’Europa occidentale. Questa ondata per certi aspetti xenofoba purtroppo sta montando e di questo bisogna preoccuparci e bisogna prendere adeguate contromisure.

D. – Questo, quindi, è un avvertimento all’Unione Europea, ciò che sta accadendo?

R. – E’ un avvertimento all’Unione Europea ma anche nell’ambito dell’Unione Europea, perché a quanto si apprende da alcune dichiarazioni che sono già state fatte, taluni plaudono, direttamente o indirettamente, a questa presa di posizione che esce fuori dal referendum. Io credo che queste cose debbano essere viste con buon senso: c’è questo shock iniziale, ma ora bisogna vedere come questo momento iniziale, che non è favorevole, possa essere superato. Io credo che con pazienza, gli strumenti possano essere trovati. Il primo strumento dev’essere trovato, ovviamente, nell’ambito dell’Unione Europea: non bisogna rincorrere politiche nazionali. Però, per quanto riguarda in particolare problemi di minore entità – minore tra virgolette – e mi riferisco in particolare ai frontalieri italiani, una politica nazionale può essere individuata in alcuni strumenti che sono a disposizione già nell’ambito del Consiglio d’Europa.

Ultimo aggiornamento: 11 febbraio







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