Illmitz: con la pubblicazione dell'opera prima di Susanna Tamaro si apre una fase
nuova per la scrittrice triestina
Aveva suscitato l'apprezzamento di intellettuali come Claudio Magris e Giorgio Voghera,
colpiti dallo stile scarno, sincopato, antiaccademico dell'allora giovane scrittrice
triestina, eppure non fu mai pubblicato. Esce dunque ora, Illmitz, l’opera prima di
Susanna Tamaro, scritto nel 1982 e rimasto per oltre 30 anni chiuso nel cassetto.
Illmitz è la storia del viaggio di un giovane alla scoperta delle proprie origini,
che diventa anche indagine interiore, attraverso la propria memoria e i propri fantasmi.
“C’è in nuce tutto il mio mondo” riconosce l’autrice: in Illmitz si trovano infatti
il dolore, la solitudine, il disagio esistenziale, l’inquietudine, l’incapacità di
amare, temi al centro del suo universo narrativo. Illmitz, dunque, uno stato d’animo,
oltre che un luogo geografico? Adriana Masotti lo ha chiesto alla stessa Tamaro:
R. – Sì, sicuramente!
Lo stato d’animo di chi vive sul confine, perché Illmitz è una località che si trova
sul confine, il confine tra l’Austria e l’Ungheria, che in quegli anni – erano gli
anni Ottanta – era un confine anche tra l’Occidente e l’Oriente, fra il comunismo
e la società – diciamo – libera ed occidentale. E poi è un confine anche di tante
altre cose: il confine dell’adolescenza e dell’età più matura; il confine tra la poesia
e la non poesia… Già nel nome stesso di Illmitz, che è il nome reale del luogo dove
ho scritto il libro, mi sembrava ci fosse in qualche modo l’assonanza con “limite”.
Dunque è una serie di confini Illmitz.
D. – “C’è tutto il mio mondo”, lei
ha detto, parlando di questo libro. E, infatti, c’è il dolore, la solitudine, la paura
della violenza, l’incapacità di amare: i temi che poi, nella sua successiva produzione
letteraria, ritornano, magari approfonditi…
R. – Questo è un libro che ho scritto
– diciamo – praticamente all’asilo, perché avevo 22 anni quando l’ ho scritto. Rileggendolo
– non l'ho riletto per 30 anni – mi è capitato di accorgermi che, in realtà, conteneva
insieme tutto quello che poi è esploso nei 20 libri che sono seguiti. E’ stato un
libro molto compatto, molto stringato; però tutto l’universo di domande, di dolore,
di domande anche sulla fede e sul mistero, sulla morte sono perfettamente già contenute
in questo libro. In questo senso è molto interessante leggerlo - anche per me - perché
ho visto come in realtà tutto il mio lavoro è legato da un filo rosso misterioso.
D.
– “Io sono un clandestino”: questa la frase con cui finisce il libro. Un clandestino
della vita, immagino…
R. – Sì, praticamente è la professione di fede nella
letteratura, perché uno scrittore è sempre, in fondo, un clandestino della vita: una
persona cioè che guarda la vita, che l’analizza, che entra nella vita in modo diverso
dalle altre persone. Insomma, c’è questo talento particolare che pone sempre ad essere
molto dentro e molto fuori.
D. – Lei in un’intervista ha detto di essersi
sempre misurata con il dolore e con il male e che ora vuole esplorare il mondo del
bene. Significa che la pubblicazione di questa opera prima chiude un cerchio
e apre un nuovo capitolo?
R. – Sicuramente, l’ho pubblicato perché l’ultimo
libro che ho scritto: “Ogni angelo è tremendo” terminava proprio con la stesura di
Illmitz. Dunque, a questo punto, mi sembrava giunto il momento di pubblicarlo proprio
per chiudere il cerchio, per vedere la coerenza che c’era stata dentro questi 20-21-22
libri, no? Adesso, però, sento proprio che pubblicando questo ho finito una parte
della mia opera: la parte più pesante anche, la parte dell’elaborazione del dolore,
del rapporto col male, dell’indagine sulle fragilità. Ora mi sento in una fase della
vita in cui ho molta voglia, invece, di lavorare sulla fantasia, che è una parte per
me molto importante – si capisce che c’è, perché già in Illmitz ci sono molti passaggi
di fantasia e tutti i libri per bambini confermano che sono un autore che ha una grande
parte fantastica – ma che finora ho usato veramente poco. Dunque penso di aprirmi
alla parte fantastica e al racconto anche del mistero del bene.
D. – Che non
è una cosa molto semplice, anzi forse ancora più difficile …
R. – E’ difficilissimo!
E’ una cosa che di solito la letteratura ha aborrito, ma io credo che sia invece molto
importante, perché c’è un mistero del bene nella vita, che forse, appunto, a vent’anni
non si vede, a quaranta non si vede, ma vicino ai sessanta si può anche incominciare
ad intravedere. E penso che sia una grandissima sfida raccontare questo mistero del
bene.
D. – Illmitz esce a vent’anni da “Va’ dove ti porta il cuore”: come
vive lei questo anniversario e contemporaneamente l’uscita dell’opera prima?
R.
– Questo è proprio qualcosa che per me è molto strano. Mi sembra di aver scritto ieri
“Va’ dove ti porta il cuore”… E’ un libro per me sempre presente, perché tutti me
ne scrivono, me ne parlano, dunque è come se fosse uscito l’altro ieri. E’ interessante
che 20 anni dopo sia uscito Illmitz, perché – proprio come dicevo prima – questo
chiude un po’ tutta la sinfonia dei miei primi 30 anni di scrittura. Comunque “Va’
dove ti porta il cuore” è stato il libro più conosciuto, ma anche più misconosciuto:
in realtà il fatto che sia stato un libro così famoso, lo ha anche fatto leggere male
a molte persone. In realtà è un libro che ha diversi livelli di profondità, anche
di profondità spirituale, che non sono stati molto indagati e che, forse, hanno dato
anche un certo fastidio.