Proteste e violenze in Bosnia ed Erzegovina attraversata da una grave crisi economica
In Bosnia ed Erzegovina si estendono a macchia d’olio le proteste contro la crisi
economica. Dopo Tuzla, anche a Zenica, a Sarajevo, e in altre città, i manifestanti
hanno incendiato le varie sedi dei governi cantonali. Decine di persone sono rimaste
ferite negli scontri con le forze di polizia. A oltre venti anni dalla sanguinosa
guerra che devastò il Paese, la Bosnia oggi è in ginocchio con una disoccupazione
al 44% mentre il 20% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Francesca
Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente a Sarajevo, Azra Ibrahimovic,
coordinatrice per la ong Cesvi della "Casa del sorriso" di Srebrenica:
R. – Quello
che sta accadendo - soprattutto nelle grandi città come Sarajevo, Tuzla, Mostar, Bihac,
Zenica - sono grandi proteste organizzate dalla gente che ormai non ce la fa più a
vivere: sono le condizioni socio-economiche che hanno spinta a questa mossa disperata
di uscire in strada e di protestare contro il malessere che molti cittadini della
Bosnia-Erzegovina – purtroppo! - stanno vivendo in questo momento.
D. – Sappiamo
che il popolo sta manifestando violentemente contro un tasso di disoccupazione altissimo;
altrettanto alto è il livello di povertà. Le voci che ci giungono da lì - le voci
degli intellettuali e dei leader della protesta - parlano di una “primavera bosniaca”.
Questo è quello che le persone stanno pensando?
R. – Gran parte dei cittadini
pensono a questo. Anzi gli intellettuali – tra virgolette – sperano che sia la “primavera
bosniaca, perché ormai siamo arrivati ad un momento critico, dove la situazione economica
non sta facendo alcun progresso nel Paese, anzi sta regredendo sempre di più, causando
grossi disagi sociali. La maggior parte della gente che uscita in strada è rappresentata
proprio dai lavoratori. I diritti qui sono negati, i diritti di base sono negati:
il diritto al lavoro, il diritto ad avere uno stipendio, il diritto ad una assicurazione
sanitaria, il diritto ad una pensione. Quindi si tratta proprio di quei diritti che
garantiscono l’esistenza di una persona e di una famiglia. Ecco, cosa prevalentemente
ha spinto la gente ad uscire in strada.
D. – Non si può non ricordare che
sono 20 anni dalla sanguinosa guerra che ha devastato il tuo Paese: chi combatteva
uno contro l’altro, si ritrova oggi unito perché queste proteste sono di tutti i bosniaci?
R.
– E’ il colore che è uguale per tutti i bosniaci: il colore dei diritti che non sono
rispettati; il colore della disoccupazione… Nella stessa situazione si trova sia il
bosniaco musulmano che il croato, che il serbo: sono i problemi che ci hanno riuniti
per le strade di Sarajevo! Durante le proteste ho visto la gente che portava tre bandiere
insieme: la bandiera serba, la bandiera croata e la bandiera bosniaca attaccate una
all’altra, con la scritta: “In questo siamo tutti uguali!”. Infatti le proteste sono
cominciate anche a Banja Luka, a Prijedor… Quindi un po’ in tutta la Bosnia-Erzegovina.
D. – Le autorità politiche stanno cercando di parlare al popolo?
R.
– Ormai fa poco effetto! Quello che la gente chiede sono le dimissioni di tutti i
governi cantonali. Quindi una delle richieste – oltre al rispetto dei diritti umani
di base – è anche quella della rassegnazione delle dimissioni di tutti i governi,
partendo dal livello federale fino al livello cantonale. Alcuni primi ministri dei
governi cantonali hanno già annunciato le loro dimissioni, ma ancora si aspettano
le reazioni a livello federale.