2014-02-07 15:22:45

Da 770 anni al servizio della persona: a Roma gli Stati generali delle Misericordie


Al via ieri a Roma gli Stati Generali della Confederazione delle Misericordie d’Italia. Il più antico movimento di volontariato al mondo quest’anno compie 770 anni e conta, nei 5 continenti, circa 2 mila realtà che si sono sviluppate seguendo l'esempio italiano. In Italia, sono circa 800 le sedi e 800 mila gli aderenti, concretamente attivi in opere di volontariato: dagli ambiti socio-sanitari alla protezione civile. Massimiliano Menichetti ha intervistato Roberto Trucchi, presidente della Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia:RealAudioMP3

R. - È un momento di incontro e di confronto idealmente con tutte le Misericordie. È un momento importante per capire in effetti quella che è la situazione reale, non solo delle nostre Misericordie, ma anche della società con la quale ci confrontiamo.

D. - In cosa sono impegnate le Misericordie?

R. - Nell’aspetto sanitario, con tutti quelli che sono i servizi come il 118. Anche la Protezione Civile si impegna ormai quotidianamente. Una realtà che emerge sempre più è proprio quella sociale: tanta gente viene perché ha la necessità di pagare una bolletta, un'altra ha bisogno di parlare, di comunicare … Il sociale sta veramente esplodendo.

D. - Di cosa hanno bisogno le Misericordie oggi secondo lei?

R. - Le Misericordie, intanto, hanno bisogno di volare un po' alto, di non appiattirsi su quelle che sono le problematiche tecniche o su quelle che possono essere le piccole diatribe quotidiane. In queste ore, stiamo presentando un progetto che cerca di coniugare nella praticità, nella realtà, alcuni verbi: essere, fare, comunicare; verbi che danno quella sensazione di mettersi in cammino, in moto, andare verso …

D. - Questo andare verso, sempre tenendo presente la persona …

R. – Noi, da sempre, siamo rivolti verso la persona; è l’unica cosa che ci deve muovere. Il rispondere a quell’essere: chi siamo? Cosa siamo? Perché facciamo questo? Lo facciamo perché abbiamo dei principi, dei valori; abbiamo un modello che è Cristo che si fa uomo, persona.

D. - 770 anni dalla nascita delle Misericordie: che cosa significa questo compleanno?

R. - Significa, nonostante i 770 anni, una freschezza, una vitalità; significa essere sempre pronti e disponibili al servizio. È un traguardo grande che vorremmo onorare proprio a Firenze con una serie di manifestazioni, probabilmente nel mese di maggio, e che idealmente culmineranno il 14 giugno in Piazza San Pietro, dove incontreremo il Santo Padre. Ci sembra un bel compleanno!

D. - Lei diceva: “Nonostante tutti questi anni, c’è ancora freschezza e questa freschezza l’ho vista anche nel mondo” …

R. – È una realtà viva in tantissime parti. Qualche tempo fa mi è stata fatta la richiesta per un’apertura di Misericordia in Burkina Faso … La realtà che in questo momento ci sembra più bella è quella di Betlemme, dove abbiamo questa struttura che ormai sta iniziando a camminare che si trova proprio vicino alla Grotta della Natività. Già a metà febbraio alcuni dei nostri volontari andranno per organizzare le ultime cose, per poi partire in maniera ufficiale probabilmente già dal prossimo mese.

D. - Quali sono le prossime sfide?

R. - La sfida è continuare ad esserci; continuare a prestare servizio come abbiamo fatto ieri, oggi, e come dovremo fare domani. Questa è la sfida più grande. In una società che va sempre più disgregandosi, rimanere uniti e vedere all’interno delle Misericordie tanti giovani insieme a tante persone più grandi, pronti e disponibili al servizio mi sembra sia la risposta più bella e più chiara.

D. - Spesso si vedono operare le Misericordie, ma alcuni non le conoscono. Perché è così secondo lei?

R. - Questa è proprio una caratteristica della Misericordie: non essere riconosciuti nel servizio. Noi lo facciamo e lo dobbiamo fare con umiltà; la buffa, che è la veste storica, faceva sì che i confratelli offrissero il loro servizio con un cappuccio in testa per non essere riconosciuti. Questo è lo spirito che è rimasto e che rimane. Non ci interessa metterci in mostra. Noi ci siamo per dare una risposta ai bisogni, e lo facciamo cercando di operare al meglio per le persone che abbiamo davanti, non per avere un riconoscimento per questo da altri. Il riconoscimento è quello che il caposervizio, rientrando, diceva ai confratelli: “Che Dio te ne renda merito”, espressione che, tra l’altro, era nata con un altro spirito: significava ringraziare, rendere merito alla persona che avevamo soccorso, perché con la sua necessità ci aveva consentito di dargli un aiuto e quindi questo era il ringraziamento. Questo è quello che c’è nel nostro cuore; a volte riusciamo a renderlo pratico e visibile, a volte neanche ci riusciamo, perché poi alla fine siamo uomini con le nostre difficoltà e le nostre debolezze, però lo spirito è questo.

Ultimo aggiornamento: 8 febbraio







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