Da 770 anni al servizio della persona: a Roma gli Stati generali delle Misericordie
Al via ieri a Roma gli Stati Generali della Confederazione delle Misericordie d’Italia.
Il più antico movimento di volontariato al mondo quest’anno compie 770 anni e conta,
nei 5 continenti, circa 2 mila realtà che si sono sviluppate seguendo l'esempio italiano.
In Italia, sono circa 800 le sedi e 800 mila gli aderenti, concretamente attivi in
opere di volontariato: dagli ambiti socio-sanitari alla protezione civile. Massimiliano
Menichetti ha intervistato Roberto Trucchi, presidente della Confederazione
nazionale delle Misericordie d’Italia:
R. - È un momento
di incontro e di confronto idealmente con tutte le Misericordie. È un momento importante
per capire in effetti quella che è la situazione reale, non solo delle nostre Misericordie,
ma anche della società con la quale ci confrontiamo.
D. - In cosa sono impegnate
le Misericordie?
R. - Nell’aspetto sanitario, con tutti quelli che sono i servizi
come il 118. Anche la Protezione Civile si impegna ormai quotidianamente. Una realtà
che emerge sempre più è proprio quella sociale: tanta gente viene perché ha la necessità
di pagare una bolletta, un'altra ha bisogno di parlare, di comunicare … Il sociale
sta veramente esplodendo.
D. - Di cosa hanno bisogno le Misericordie oggi secondo
lei?
R. - Le Misericordie, intanto, hanno bisogno di volare un po' alto, di
non appiattirsi su quelle che sono le problematiche tecniche o su quelle che possono
essere le piccole diatribe quotidiane. In queste ore, stiamo presentando un progetto
che cerca di coniugare nella praticità, nella realtà, alcuni verbi: essere, fare,
comunicare; verbi che danno quella sensazione di mettersi in cammino, in moto, andare
verso …
D. - Questo andare verso, sempre tenendo presente la persona …
R.
– Noi, da sempre, siamo rivolti verso la persona; è l’unica cosa che ci deve muovere.
Il rispondere a quell’essere: chi siamo? Cosa siamo? Perché facciamo questo? Lo facciamo
perché abbiamo dei principi, dei valori; abbiamo un modello che è Cristo che si fa
uomo, persona.
D. - 770 anni dalla nascita delle Misericordie: che cosa significa
questo compleanno?
R. - Significa, nonostante i 770 anni, una freschezza, una
vitalità; significa essere sempre pronti e disponibili al servizio. È un traguardo
grande che vorremmo onorare proprio a Firenze con una serie di manifestazioni, probabilmente
nel mese di maggio, e che idealmente culmineranno il 14 giugno in Piazza San Pietro,
dove incontreremo il Santo Padre. Ci sembra un bel compleanno!
D. - Lei diceva:
“Nonostante tutti questi anni, c’è ancora freschezza e questa freschezza l’ho vista
anche nel mondo” …
R. – È una realtà viva in tantissime parti. Qualche tempo
fa mi è stata fatta la richiesta per un’apertura di Misericordia in Burkina Faso …
La realtà che in questo momento ci sembra più bella è quella di Betlemme, dove abbiamo
questa struttura che ormai sta iniziando a camminare che si trova proprio vicino alla
Grotta della Natività. Già a metà febbraio alcuni dei nostri volontari andranno per
organizzare le ultime cose, per poi partire in maniera ufficiale probabilmente già
dal prossimo mese.
D. - Quali sono le prossime sfide?
R. - La sfida
è continuare ad esserci; continuare a prestare servizio come abbiamo fatto ieri, oggi,
e come dovremo fare domani. Questa è la sfida più grande. In una società che va sempre
più disgregandosi, rimanere uniti e vedere all’interno delle Misericordie tanti giovani
insieme a tante persone più grandi, pronti e disponibili al servizio mi sembra sia
la risposta più bella e più chiara.
D. - Spesso si vedono operare le Misericordie,
ma alcuni non le conoscono. Perché è così secondo lei?
R. - Questa è proprio
una caratteristica della Misericordie: non essere riconosciuti nel servizio. Noi lo
facciamo e lo dobbiamo fare con umiltà; la buffa, che è la veste storica, faceva
sì che i confratelli offrissero il loro servizio con un cappuccio in testa per non
essere riconosciuti. Questo è lo spirito che è rimasto e che rimane. Non ci interessa
metterci in mostra. Noi ci siamo per dare una risposta ai bisogni, e lo facciamo cercando
di operare al meglio per le persone che abbiamo davanti, non per avere un riconoscimento
per questo da altri. Il riconoscimento è quello che il caposervizio, rientrando, diceva
ai confratelli: “Che Dio te ne renda merito”, espressione che, tra l’altro, era nata
con un altro spirito: significava ringraziare, rendere merito alla persona che avevamo
soccorso, perché con la sua necessità ci aveva consentito di dargli un aiuto e quindi
questo era il ringraziamento. Questo è quello che c’è nel nostro cuore; a volte riusciamo
a renderlo pratico e visibile, a volte neanche ci riusciamo, perché poi alla fine
siamo uomini con le nostre difficoltà e le nostre debolezze, però lo spirito è questo.