Messaggio del Papa per la Giornata mondiale della gioventù. Testo integrale
E’ stato pubblicato oggi il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale gioventù
2014 sul tema «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt
5,3). Quest’anno la GMG si celebrerà a livello diocesano il 13 aprile, Domenica delle
Palme. Di seguito il testo integrale:
Cari giovani, è impresso nella
mia memoria lo straordinario incontro che abbiamo vissuto a Rio de Janeiro, nella
XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù: una grande festa della fede e della fraternità!
La brava gente brasiliana ci ha accolto con le braccia spalancate, come la statua
del Cristo Redentore che dall’alto del Corcovado domina il magnifico scenario della
spiaggia di Copacabana. Sulle rive del mare Gesù ha rinnovato la sua chiamata affinché
ognuno di noi diventi suo discepolo missionario, lo scopra come il tesoro più prezioso
della propria vita e condivida questa ricchezza con gli altri, vicini e lontani, fino
alle estreme periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo.
La prossima
tappa del pellegrinaggio intercontinentale dei giovani sarà a Cracovia, nel 2016.
Per scandire il nostro cammino, nei prossimi tre anni vorrei riflettere insieme a
voi sulle Beatitudini evangeliche, che leggiamo nel Vangelo di san Matteo (5,1-12).
Quest’anno inizieremo meditando sulla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di
essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3); per il 2015 propongo «Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio» (Mt 5,8); e infine, nel 2016, il tema sarà «Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).
1. La forza rivoluzionaria delle
Beatitudini Ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le
ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea.
C’era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò
quella predica viene chiamata “discorso della montagna”. Nella Bibbia, il monte è
visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta
come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica? Gesù comunica la via della
vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come
via della vera felicità. In tutta la sua vita, dalla nascita nella grotta di Betlemme
fino alla morte in croce e alla risurrezione, Gesù ha incarnato le Beatitudini. Tutte
le promesse del Regno di Dio si sono compiute in Lui.
Nel proclamare le Beatitudini
Gesù ci invita a seguirlo, a percorrere con Lui la via dell’amore, la sola che conduce
alla vita eterna. Non è una strada facile, ma il Signore ci assicura la sua grazia
e non ci lascia mai soli. Povertà, afflizioni, umiliazioni, lotta per la giustizia,
fatiche della conversione quotidiana, combattimenti per vivere la chiamata alla santità,
persecuzioni e tante altre sfide sono presenti nella nostra vita. Ma se apriamo la
porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con
Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito,
può dare.
Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria,
di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media,
dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto
a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro
che Gesù proclama beati sono considerati “perdenti”, deboli. Sono esaltati invece
il successo ad ogni costo, il benessere, l’arroganza del potere, l’affermazione di
sé a scapito degli altri.
Gesù ci interpella, cari giovani, perché rispondiamo
alla sua proposta di vita, perché decidiamo quale strada vogliamo percorrere per arrivare
alla vera gioia. Si tratta di una grande sfida di fede. Gesù non ha avuto paura di
chiedere ai suoi discepoli se volevano davvero seguirlo o piuttosto andarsene per
altre vie (cfr Gv 6,67). E Simone detto Pietro ebbe il coraggio di rispondere: «Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Se saprete anche voi dire
“sì” a Gesù, la vostra giovane vita si riempirà di significato, e così sarà feconda.
2.
Il coraggio della felicità Ma che cosa significa “beati” (in greco makarioi)? Beati
vuol dire felici. Ditemi: voi aspirate davvero alla felicità? In un tempo in cui si
è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di
avere un’idea “in piccolo” della vita. Aspirate invece a cose grandi! Allargate i
vostri cuori! Come diceva il beato Piergiorgio Frassati, «vivere senza una fede, senza
un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è
vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere» (Lettera a I.
Bonini, 27 febbraio 1925). Nel giorno della Beatificazione di Piergiorgio Frassati,
il 20 maggio 1990, Giovanni Paolo II lo chiamò «uomo delle Beatitudini» (Omelia nella
S. Messa: AAS 82 [1990], 1518).
Se veramente fate emergere le aspirazioni più
profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c’è un desiderio inestinguibile
di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte “a
basso prezzo” che trovate intorno a voi. Quando cerchiamo il successo, il piacere,
l’avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti
di ebbrezza, un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo
mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più. È molto triste vedere una gioventù
“sazia”, ma debole.
San Giovanni scrivendo ai giovani diceva: «Siete forti
e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno» (1 Gv 2,14). I giovani
che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si “abbuffano” di
altre cose! Abbiate il coraggio di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della
vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello
scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi
sfide della vita!
3. Beati i poveri in spirito… La prima Beatitudine, tema
della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dichiara felici i poveri in spirito,
perché a loro appartiene il Regno dei cieli. In un tempo in cui tante persone soffrono
a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo.
In che senso possiamo concepire la povertà come una benedizione? Prima di tutto cerchiamo
di capire che cosa significa «poveri in spirito». Quando il Figlio di Dio si è fatto
uomo, ha scelto una via di povertà, di spogliazione. Come dice san Paolo nella Lettera
ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo
nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se
stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (2,5-7).
Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio:
da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr
2 Cor 8,9). E’ il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio
in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine.
L’aggettivo
greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire “mendicante”.
Va legato al concetto ebraico di anawim, i “poveri di Iahweh”, che evoca umiltà, consapevolezza
dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli anawim si
fidano del Signore, sanno di dipendere da Lui. Gesù, come ha ben saputo vedere santa
Teresa di Gesù Bambino, nella sua Incarnazione si presenta come un mendicante, un
bisognoso in cerca d’amore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla dell’uomo come
di un «mendicante di Dio» (n. 2559) e ci dice che la preghiera è l’incontro della
sete di Dio con la nostra sete (n. 2560). San Francesco d’Assisi ha compreso molto
bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli
parlò nella persona del lebbroso e nel Crocifisso, egli riconobbe la grandezza di
Dio e la propria condizione di umiltà. Nella sua preghiera il Poverello passava ore
a domandare al Signore: «Chi sei tu? Chi sono io?». Si spogliò di una vita agiata
e spensierata per sposare “Madonna Povertà”, per imitare Gesù e seguire il Vangelo
alla lettera. Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri
in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.
Voi dunque
mi potreste domandare: come possiamo concretamente far sì che questa povertà in spirito
si trasformi in stile di vita, incida concretamente nella nostra esistenza? Vi rispondo
in tre punti. Prima di tutto cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Il
Signore ci chiama a uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà, a non cedere
alla cultura del consumo. Si tratta di cercare l’essenzialità, di imparare a spogliarci
di tante cose superflue e inutili che ci soffocano. Distacchiamoci dalla brama di
avere, dal denaro idolatrato e poi sprecato. Mettiamo Gesù al primo posto. Lui ci
può liberare dalle idolatrie che ci rendono schiavi. Fidatevi di Dio, cari giovani!
Egli ci conosce, ci ama e non si dimentica mai di noi. Come provvede ai gigli del
campo (cfr Mt 6,28), non lascerà che ci manchi nulla! Anche per superare la crisi
economica bisogna essere pronti a cambiare stile di vita, a evitare i tanti sprechi.
Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della
sobrietà.
In secondo luogo, per vivere questa Beatitudine abbiamo tutti bisogno
di conversione per quanto riguarda i poveri. Dobbiamo prenderci cura di loro, essere
sensibili alle loro necessità spirituali e materiali. A voi giovani affido in modo
particolare il compito di rimettere al centro della cultura umana la solidarietà.
Di fronte a vecchie e nuove forme di povertà – la disoccupazione, l’emigrazione, tante
dipendenze di vario tipo –, abbiamo il dovere di essere vigilanti e consapevoli, vincendo
la tentazione dell’indifferenza. Pensiamo anche a coloro che non si sentono amati,
non hanno speranza per il futuro, rinunciano a impegnarsi nella vita perché sono scoraggiati,
delusi, intimoriti. Dobbiamo imparare a stare con i poveri. Non riempiamoci la bocca
di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli.
I poveri sono per noi un’occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare
la sua carne sofferente.
Ma – e questo è il terzo punto – i poveri non sono
soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci,
da insegnarci. Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri! Pensate che un
santo del secolo XVIII, Benedetto Giuseppe Labre, il quale dormiva per strada a Roma
e viveva delle offerte della gente, era diventato consigliere spirituale di tante
persone, tra cui anche nobili e prelati. In un certo senso i poveri sono come maestri
per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha
sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre
la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull’umiltà e la fiducia in
Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), Gesù presenta quest’ultimo
come modello perché è umile e si riconosce peccatore. Anche la vedova che getta due
piccole monete nel tesoro del tempio è esempio della generosità di chi, anche avendo
poco o nulla, dona tutto (Lc 21,1-4).
4. … perché di essi è il Regno dei cieli Tema
centrale nel Vangelo di Gesù è il Regno di Dio. Gesù è il Regno di Dio in persona,
è l’Emmanuele, Dio-con-noi. Ed è nel cuore dell’uomo che il Regno, la signoria di
Dio si stabilisce e cresce. Il Regno è allo stesso tempo dono e promessa. Ci è già
stato dato in Gesù, ma deve ancora compiersi in pienezza. Perciò ogni giorno preghiamo
il Padre: «Venga il tuo regno». C’è un legame profondo tra povertà ed evangelizzazione,
tra il tema della scorsa Giornata Mondiale della Gioventù - «Andate e fate discepoli
tutti i popoli» (Mt 28,19) - e quello di quest’anno: «Beati i poveri in spirito, perché
di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Il Signore vuole una Chiesa povera che evangelizzi
i poveri. Quando inviò i Dodici in missione, Gesù disse loro: «Non procuratevi oro
né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né
sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,9-10).
La povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il Regno di Dio si diffonda.
Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di
persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi. L’evangelizzazione, nel nostro tempo,
sarà possibile soltanto per contagio di gioia.
Come abbiamo visto, la Beatitudine
dei poveri in spirito orienta il nostro rapporto con Dio, con i beni materiali e con
i poveri. Davanti all’esempio e alle parole di Gesù, avvertiamo quanto abbiamo bisogno
di conversione, di far sì che sulla logica dell’avere di più prevalga quella dell’essere
di più! I santi sono coloro che più ci possono aiutare a capire il significato profondo
delle Beatitudini. La canonizzazione di Giovanni Paolo II nella seconda domenica di
Pasqua, in questo senso, è un evento che riempie il nostro cuore di gioia. Lui sarà
il grande patrono delle GMG, di cui è stato l’iniziatore e il trascinatore. E nella
comunione dei santi continuerà ad essere per tutti voi un padre e un amico.
Nel
prossimo mese di aprile ricorre anche il trentesimo anniversario della consegna ai
giovani della Croce del Giubileo della Redenzione. Proprio a partire da quell’atto
simbolico di Giovanni Paolo II iniziò il grande pellegrinaggio giovanile che da allora
continua ad attraversare i cinque continenti. Molti ricordano le parole con cui il
Papa, la domenica di Pasqua del 1984, accompagnò il suo gesto: «Carissimi giovani,
al termine dell’Anno Santo affido a voi il segno stesso di quest’Anno Giubilare: la
Croce di Cristo! Portatela nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità,
ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione».
Cari
giovani, il Magnificat, il cantico di Maria, povera in spirito, è anche il canto di
chi vive le Beatitudini. La gioia del Vangelo sgorga da un cuore povero, che sa esultare
e meravigliarsi per le opere di Dio, come il cuore della Vergine, che tutte le generazioni
chiamano “beata” (cfr Lc 1,48). Lei, la madre dei poveri e la stella della nuova evangelizzazione,
ci aiuti a vivere il Vangelo, a incarnare le Beatitudini nella nostra vita, ad avere
il coraggio della felicità.
Dal Vaticano, 21 gennaio 2014, memoria di Sant’Agnese,
vergine e martire