Don Santoro, ponte tra le religioni: il cardinale Ruini lo ricorda a 8 anni dalla
morte
“Don Andrea ubbidendo alla chiamata del Signore è stato capace di uscire radicalmente
da se stesso per entrare in un mondo sconosciuto, adattandosi ad un modo completamente
diverso di svolgere il ministero sacerdotale”. Con queste parole, mercoledì sera a
Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, il cardinale Camillo Ruini, ha
ricordato con una solenne celebrazione eucaristica don Andrea Santoro il sacerdote
fidei donum della diocesi di Roma, ucciso il 5 febbraio 2006, mentre pregava
nella sua parrocchia di Santa Maria in Trabzon, in Turchia. Il servizio di Marina
Tomarro:
“La memoria
e la presenza di Don Andrea non sono sbiaditi, la sua testimonianza è sempre viva”.
Così ieri sera il cardinale Camillo Ruini ha aperto la sua omelia nella Messa
in ricordo di don Andrea Santoro a otto anni dalla sua morte:
“Don Andrea
voleva andare in Turchia. Desiderava ardentemente di andare, ma non sarebbe andato
se non come mandato della Chiesa di Roma. Per poter andare non come singola persona,
come sua scelta personale, ma come inviato da questa Chiesa”.
E don Andrea
ha sempre avuto la consapevolezza di come deve essere sempre amata e servita la Chiesa,
e lo ha messo in pratica nelle varie parrocchie romane dove è passato, ma soprattutto
lasciando ogni cosa e scegliendo di andare in un posto dove era tutto molto difficile
e senza gratificazioni: “Don Andrea aveva una certezza, certezza non solo teorica,
certezza vissuta. E questa certezza era il primato di Dio: il primato della grazia
di Dio nella propria vita personale e in tutta la vita e la pastorale della Chiesa”.
E l'obiettivo principale della sua missione in Turchia è stato sempre
l’urgenza del dialogo interreligioso:
"Proprio perché voleva essere fino
in fondo discepolo di Gesù e credeva profondamente in Lui, in Gesù e nella sua Chiesa,
ha concepito la sua vita come un ponte: un ponte tra i cristiani, gli ebrei e i musulmani.
Il senso del suo martirio ha trovato perciò la più precisa espressione nelle parole
dette dalla sua mamma, dopo la morte: ‘Il Signore faccia sì che il sacrificio della
sua vita contribuisca alla causa del dialogo tra le religioni e delle pace tra i popoli'”.
Ma qual è il ricordo personale del porporato di don Andrea Santoro?
"Di
don Andrea ho un ricordo vivissimo, perché lo conobbi molto bene e apprezzai sempre
la sua grande dedizione, il suo coraggio e la sua generosità. Ricordo anche che era
consapevole del pericolo che correva, specialmente quando per l’ultima volta tornò
a Trabzon. Io glielo dissi, lui cercò di nascondere un pochino le cose e comunque
volle partire, ma sapeva bene che rischiava molto. In questo senso, ha affrontato
il martirio in maniera consapevole".
Alla celebrazione era presente anche
Imelda Santoro, una delle due sorelle di don Andrea. Ecco la sua testimonianza:
R.
– Dopo otto anni, c’è ancora molto interesse. Interesse nel senso che si ricorda questo
sacrificio fatto da lui e si ricorda il suo amore per Cristo. Io sono sempre commossa:
dopo otto anni, non riesco ancora a non commuovermi quando parlo di mio fratello.
Tutto questo ci dà gioia, perché lui ha lasciato una grande testimonianza: purtroppo,
con la vita, ma si vede che il Signore voleva così…
D. – Ci sono delle parole
di suo fratello che le sono rimaste nel cuore? Un ricordo?
R. – Quando noi
gli chiedevamo cosa stesse facendo lui, così da solo – perché era da solo – lui ci
guardava e ci diceva: “Sono lì per buttare un sassolino. Poi, chi verrà dopo di me
ne getterà un altro, poi un altro ancora…”. Invece, dopo che è morto, io ho pensato
che non era un sassolino quello che lui ha buttato, ma un masso…
E nonostante
gli otto anni passati dalla sua scomparsa, il ricordo della figura di don Andrea Santoro
è ancora molto forte in chi lo ha conosciuto soprattutto quando era parroco a Roma.
Ascoltiamo alcuni commenti:
R. – Don Andrea era un gran sacerdote, pieno di
spiritualità, che comunicava agli altri. Aveva questo dono: entrare nell’animo delle
persone. Quando faceva le omelie, sembrava che parlasse proprio con te. Aveva questa
capacità e un grande amore per il prossimo, per chiunque, dal più umile al più grande.
R.
– Io ho avuto la fortuna di conoscere don Andrea Santoro quando – nel 1995 – diventò
parroco ai Santi Fabiano e Venanzio. E’ stata un’esperienza unica ed irripetibile.
Di quello ci siamo resi conto subito. E proprio grazie a lui e ai suoi insegnamenti
che poi ho percorso il cammino per divenire accolito istituito.
Martedì sera,
alla vigilia dell’anniversario, si era svolta una veglia nella parrocchia di San Fabiano
e Venanzio a Roma, per anni guidata proprio da don Santoro. A presiedere la celebrazione,
il vescovo ausiliare, mons.MatteoZuppi che, intervistato da
Francesca Sabatinelli, racconta cosa più lo ha colpito delle parole di don Santoro
lette durante la preghiera di ricordo:
R. – Mi hanno
colpito tutte. La chiave di lettura era quella sulla povertà, ed il senso sereno di
povertà, di debolezza. Lui ricordava come il Vangelo ci aiuta non a scappare, ma
a riconoscere la nostra povertà e fare di questo una vera ricchezza. Lui diceva che
quello che conta è la parte meno appariscente della nostra vita, quella in cui si
riflette Gesù mite ed umile di cuore; il buon pastore che conosce ed ama le pecore
una per una; il servo che si china a lavare i piedi. Il resto può solo impressionare
ed incuriosire. Credo che è proprio vero: se noi scegliamo la parte meno appariscente
della nostra vita in realtà attiriamo e sappiamo mostrare il profondo della chiamata
ad essere cristiani. Don Andrea Santoro e Papa Francesco spingono tutti quanti in
questa direzione.
D. – L’esempio di don Santoro, il suo sacrificio, cosa ci
ha lasciato?
R. – Ha aiutato tutti quanti a guardare con larghezza, a sentire
la responsabilità verso l’Oriente, a sentirsi in debito verso l’Oriente, a pensare
alla Chiesa di Roma in particolare, ma per certi versi a pensare a tutta quanta la
Chiesa cattolica, non come un arcipelago di isole ma come una comunione nella quale
la parte più forte si fa carico di chi vive una maggiore debolezza, esattamente così
come lui pensava il rapporto con tutta la Chiesa in Turchia e con le antiche Chiese
in Turchia, essere quindi una presenza cristiana laddove invece i cristiani non ci
sono più. Quando leggo i suoi scritti, i suoi pensieri, sempre legati così tanto alla
vita ed alle situazioni concrete, ne emerge un uomo profondamente spirituale, di grande
sensibilità legata alla scrittura, di un grande senso umano e di una coscienza anche
di sé, della propria povertà come una grazia. Credo che come ci chiede Papa Francesco,
di uscire, di andare nelle periferie di comunicare il Vangelo con la nostra presenza,
così don Andrea Santoro ha ancora tanto da dire alla Chiesa di Roma e forse dobbiamo
ancora capire.
D. – La strada intrapresa da don Andrea Santoro l’ha portato
ad essere “costruttore di ponti verso l’Oriente”. È stata raccolta questa sua eredità?
R.
– In realtà, ci stiamo riuscendo poco. Papa Francesco ci ha chiesto – e tutti se ne
ricordano – la straordinaria veglia di preghiera, i primi di settembre, proprio per
scongiurare una precipitazione del conflitto in Siria. Credo che don Andrea Santoro
sicuramente ci aiuta a costruire ponti affinché la presenza dei cristiani in Oriente
abbia un futuro. Tra qualche mese, il Papa andrà in Giordania ed in Terra Santa, ricordando
il viaggio di Papa Paolo VI e l’incontro con Atenagora. Dobbiamo aiutarlo con la nostra
preghiera e soprattutto, in questi mesi di grande sofferenza, pregare perché il Medio
Oriente possa diventare o ridiventare un luogo di convivenza, di incontro, che è per
certi versi nella sua stessa natura, ma che purtroppo in questi anni si è lacerato
ed è diventato esattamente il contrario: terreno dello scontro.