2014-02-05 14:39:05

Sud Sudan. Msf mette in salvo i pazienti dell'ospedale di Leer: "270 mila senza cure"


Nello Stato sudsudanese di Unity, “più di 270 mila persone non hanno accesso alle cure mediche”, a causa del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza a Leer, il cui ospedale fino a pochi giorni fa è stato l’unico pienamente funzionante nella zona. A denunciarlo è Medici Senza Frontiere (Msf), operativo nell’area da 25 anni. Nelle ultime ore, l'Onu ha lanciato un appello a reperire 1,27 miliardi di dollari per coprire le proprie operazioni umanitarie e quelle delle Ong presenti in Sud Sudan. Da metà dicembre, i combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vicepresidente, Riek Machar, in tutto il Paese hanno già causato oltre 700 mila sfollati interni e 112 mila rifugiati negli Stati limitrofi. Secondo osservatori internazionali, i morti potrebbero essere anche 10 mila. A fare un quadro della situazione a Leer è Stefano Zannini, fino allo scorso anno capo missione Msf in Sud Sudan. L'intervista è di Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. – A Leer, noi di Medici Senza Frontiere avevamo un ospedale da oltre 20 anni. La città era controllata dalle forze ribelli, l’esercito governativo ha poi sferrato un attacco per riprendere il controllo e la poca popolazione rimasta - tra cui anche il nostro personale medico-sanitario - ha deciso di abbandonare la città per non correre ulteriori rischi. Nel nostro caso, questo ha significato che i pazienti più gravi sono stati trasportati a spalla nella boscaglia, dove si trovano tutt’ora in cura, con il poco materiale che siamo riusciti ad evacuare.

D. – I servizi sanitari sono quindi sospesi al momento? Qual è la situazione dell’accesso alle cure in particolare?

R. – A Leer, la situazione dell’accesso alle cure è inesistente, perché non ci sono altre strutture mediche che funzionano. E' anche vero che non ci sono persone, al di fuori dei militari, perché i civili sono tutti nella boscaglia. Nel Paese, invece, la situazione resta estremamente complessa, i bisogni sono enormi. Circa un milione di persone ha abbandonato i propri villaggi e le proprie case e il numero di organizzazioni presenti sul territorio è estremamente limitato.

D. – Dal punto di vista sanitario, le emergenze più critiche quali sono?

R. – La dissenteria e la malaria sono le due patologie principali che stiamo osservando. In alcuni campi, purtroppo, si registrano un incremento del tasso di mortalità e addirittura il propagarsi del morbillo. Da un punto di vista sanitario più generale, invece, l’accesso all’acqua potabile in quantità adeguata al momento è l’ostacolo più importante.

D. – Dalle notizie che avete, perché si combatte ancora da metà dicembre ad oggi?

R. – Si combatte per diverse ragioni. Per una questione di potere – le elezioni erano attese per il 2015 – e in questo quadro si inseriscono inoltre fattori etnici che storicamente rappresentano un problema nel Paese. La cosa più scoraggiante è che, nonostante sia stato raggiunto un accordo per un cessate-il-fuoco due settimane fa, i combattimenti continuano, le violenze continuano e decine di persone continuano a morire.

R. – Al di là della contrapposizione tra etnie Dinka e Nuer, lo stato di Unity, dove c’è ancora lo staff di Medici Senza Frontiere, che zona è?

D. – E’ particolarmente turbolenta, perché è la zona principale dei pozzi petroliferi: sostanzialmente fornisce sostentamento all’intero Paese. Un dato su tutti: il 98% delle risorse dello Stato del Sudan del Sud proviene dall’estrazione petrolifera.

D. – L’Onu ha lanciato un appello proprio nelle ultime ore per reperire altri fondi e coprire così le azioni umanitarie in corso. L’appello di Medici Senza Frontiere qual è?

R. - L’appello di Medici Senza Frontiere è rivolto sostanzialmente a due categorie: la prima ai mezzi di informazione affinché se ne parli, affinché si racconti e si dia visibilità a questo dramma in corso. Poi un appello va, ovviamente, a quelli che sono già nostri sostenitori e a quelli che non lo sono per contribuire a portare in Sud Sudan ancora più aiuti, ancora più medicinali, ancora più personale medico. Nell’ultimo mese e mezzo,l abbiamo fatto arrivare nel Paese oltre 180 tonnellate di materiale logistico e materiale medico e sono presenti sul territorio oltre tre mila operatori che lavorano instancabilmente ogni giorno.

D. – Eppure, cosa succede quando poi strutture come quella di Leer rimangono di fatto chiuse?

R. – Quello che succede nel peggiore dei casi è che vengano saccheggiate, distrutte e date alle fiamme da attori armati presenti sul territorio. Questo comporta due problemi. Prima di tutto, vengono perse possibilità di garantire cure immediate alla popolazione locale. Secondo, è che – anche qualora riuscissimo a ritornare, com’è successo a Bentiu qualche settimana fa – dovremmo ricominciare da zero e ricostruire la struttura o, nel migliore dei casi, ripulirla e per questo passeranno giorni.







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