Siria: stallo negoziale, conflitto infuria. Georgieva (Ue): serve maggiore accesso
alle vittime
Nuova impasse della comunità internazionale sulla questione siriana. Dopo la
chiusura del primo round di negoziati della Conferenza "Ginevra 2", le attenzioni
delle cancellerie occidentali sono tutte orientate sull’aspetto umanitario. In secondo
piano, invece, sono passati i combattimenti, che continuano quotidianamente. La conferma
giunge dai dati diffusi stamattina sul mese di gennaio che, con 5.794 morti, è il
mese con il più alto numero di uccisioni da quando è esploso il conflitto a marzo
del 2011. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Paolo Branca, docente
di Storia dei Paesi arabi e dell’Islam all’Università Cattolica di Milano:
R. – Il dato
è sicuramente preoccupante, ma ancora più preoccupante è l’appiattimento sul versante
umanitario, che è ovviamente importantissimo. Ma se non si agisce sulle cause che
provocano questa tragedia continua, anzi la incrementano, mi sembra addirittura ipocrita.
D.
– Intanto, si assiste a una continua frammentazione del fronte anti-Assad, anche questa
è una situazione che rende sempre più difficile la mediazione…
R. – Sono cose
che abbiamo purtroppo già visto nei Balcani, ma la stessa questione arabo-israeliana,
a pensarci bene, è così da decenni. La frammentazione, la nascita di nuove sigle,
la degenerazione nel terrorismo gratuito – che non ha nessun progetto se non quello
appunto di terrorizzare – è conseguenza di una mancanza di iniziativa su altri fronti,
credibile e condivisa. Purtroppo, dalle lezioni della storia non vogliamo apprendere
nulla.
D. – La Siria, visti anche gli scarsi risultati raggiunti a Ginevra,
è ancora una piccola pedina di un gioco ben più ampio o sta scardinando anche le regole
del gioco internazionale?
R. – In parte lo è, perché è così da sempre, lo è
l’intera area del Medio Oriente: sono quasi propaggini della Guerra fredda. Certamente,
ci sono elementi innovativi ma anche peggiorativi, perché sta assumendo le sembianze
di una guerra di religione, che nella Guerra fredda almeno non c’era.
D. –
In questa guerra di religione si inserisce anche l’Iran, il ministro degli Esteri
di Teheran, Mohammed Zarif, ha detto che se l’Arabia Saudita convincesse i jihadisti
radicali a deporre le armi il governo iraniano si impegnerebbe in prima persona con
il presidente Assad per una tregua e per la fine delle ostilità. Quanto questa strada,
secondo lei, potrebbe essere percorribile?
R. – Deve essere percorsa assolutamente
con il coinvolgimento dell’Iran, che è uno dei grandi partner ed è soprattutto la
potenza regionale dell’Asia centrale dal tempo dei greci. Quindi, nessun gioco in
Asia centrale può essere fatto lasciando da parte l’Iran. Per fortuna, abbiamo un
nuovo leader che ha carte molto più in regola del precedente e non approfittarne sarebbe
un delitto.
D. – Anche se quanto accaduto a "Ginevra 2" – prima l’invito rivolto
a Teheran, poi il passo indietro dell’Onu – ha creato qualche imbarazzo…
R.
– Siamo alle solite: non è stato invitato perché non gradito a qualcuno per altre
questioni, tipo quella arabo-israeliana, ma non si può risolvere la questione siriana
senza tener conto dell’Iran, alleato storico della “dinastia” degli Assad e vicino
– anche dal punto di vista religioso – agli alawiti.
Sullo scenario umanitario
in Siria, Davide Maggiore ha intervistato Kristalina Georgieva, commissaria
dell’Unione Europea per gli aiuti umanitari, che nella capitale italiana ha partecipato
anche al vertice internazionale sul Sahel:
R. – The situation
there is getting... La situazione sta diventando sempre peggiore. Sempre più persone
hanno bisogno di aiuto e hanno via via meno capacità di resistenza, per l’impatto
della guerra. In Europa, siamo stati i più generosi: i nostri popoli hanno fornito,
attraverso i bilanci nazionali e la Commissione europea, tre miliardi di dollari e
mezzo in aiuti umanitari. Ma il denaro non significa nulla per i bambini, le donne
e gli uomini che sono privati dell’assistenza da forze governative o da combattenti
dell’opposizione. E l’appello di tutti noi nella comunità internazionale ha avuto
lo scopo di fare pressione sulle parti in lotta per un maggiore accesso alle vittime
innocenti di questa guerra.
D. - Che ruolo può giocare, in particolare, l’Unione
Europea?
R. – The Eu can continue… L’Unione Europea può continuare e aumentare
l’impegno per conto del popolo siriano. Abbiamo visto che l’impegno può portare risultati:
per esempio, vaccinazioni antipolio hanno raggiunto oltre tre milioni di bambini.
E abbiamo visto, localmente, anche dei cessate-il-fuoco che hanno permesso agli aiuti
di arrivare. La questione è come fare questo in modo più profondo, su scala molto
più larga.
D. – Venendo allo scenario del Sahel, la sicurezza alimentare è
ancora lontana. Nel summit, il Programma alimentare mondiale ha lanciato un’iniziativa,
che è stata definita senza precedenti. Quale sarà il ruolo dell’Europa in questa iniziativa?
R.
– What we have done… Quello che abbiamo fatto come Europa è stato aumentare la
consapevolezza riguardo alla periodica siccità nella regione del Sahel e riguardo
all’instabilità, che è ha causato anche il conflitto in Mali. Questi sono fattori
cui possiamo rispondere solo attraverso una strategia globale. Stiamo anche affrontando,
insieme al Programma alimentare mondiale, alla Fao e ad altre organizzazioni chiave,
i problemi, davvero grandi, che riguardano l’insicurezza alimentare nella regione.
Ma riconosciamo che questo non è solo un problema di agricoltura: dobbiamo sostenere
un programma globale, che includa la sicurezza sociale, un miglioramento del servizio
sanitario e anche una distribuzione regolare del cibo, in maniera che quando la prossima
crisi colpirà, saremo pronti.
D. – La Repubblica Centrafricana è sede di
un’altra crisi, nello stesso continente. Quali sono i problemi più grandi che l’Unione
Europea può contribuire ad affrontare?
R. – We have seen in the Central Africa... Nella
Repubblica Centrafricana, noi abbiamo visto l’effetto dell’abbandono, un abbandono
da parte dei leader del Paese, ma anche da parte della comunità internazionale, per
decenni. La Repubblica Centrafricana ha ricevuto uno dei più bassi contributi allo
sviluppo da parte della comunità internazionale. Se si vuole tornare a una stabilità
nel Paese, dobbiamo fare tre cose: primo, investire significativamente nelle forze
di sicurezza, e l’Unione Europea sta facendo questo. Secondo, dobbiamo appoggiare
la riconciliazione e dobbiamo aiutare a sopravvivere nell’immediato le persone che
sono vittime di questa crisi ma, terzo, ci deve essere un investimento a lungo termine
nello sviluppo. Lo Stato, infatti, si è dissolto e non tornerà a vivere in un mese
o due. Noi abbiamo l’obbligo di pagare i nostri debiti a questo Paese e di muoverci,
affinché si vada verso una situazione con istituzioni decenti e decenti mezzi di sostentamento
per la popolazione.