Violenze in Centrafrica. Un religioso: serve forza d'interposizione estera
Si tiene oggi e domani ad Addis Abeba, in Etiopia, il vertice dell’Unione Africana
dedicato alle crisi in corso in Sud Sudan e Repubblica Centrafricana. In Sud Sudan,
si attendono sviluppi relativi alla tregua siglata dalle truppe governative del presidente
Salva Kiir e dai ribelli dell’ex vicepresidente, Riek Machar, che si fronteggiano
da metà dicembre. Per il Centrafrica, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha autorizzato
il dispiegamento di una Forza europea in supporto a quella già presente nel Paese,
teatro da quasi un anno di sanguinose violenze commesse dai ribelli Seleka e dalle
milizie anti-Balaka; la presidente di transizione, Catherine Samba Panza, ha invece
chiesto all'Onu l'invio di Caschi blu. Ieri, nella capitale Bangui, colpi d’arma da
fuoco si sono uditi nel quartiere PK-5, zona commerciale della città. Per un quadro
della situazione centrafricana, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente
a Bouar, nella parte occidentale del Paese, fràSerge Mbremandji, provinciale
dei Frati Cappuccini di Centrafrica e Ciad:
R. – A Bouar,
il 17 gennaio gli anti-Balaka e gli uomini della forza regolare del Centrafrica hanno
attaccato i Seleka, i ribelli che hanno preso il potere nel mese di marzo con Michel
Djotodia. Volevano dunque cacciare i Seleka, gli stranieri – ciadiani e sudanesi –
che da mesi occupano il Paese. Quel giorno, a mezzogiorno, quando hanno cominciato
a sparare, la gente ha iniziato a scappare ovunque, rifugiandosi anche alla nostra
missione, alla cattedrale di Bouar e dai carmelitani. Da noi, a Saint Laurent, c’erano
10.600 persone.
D. – Da allora cosa è successo? Come avete assistito queste
persone?
R. – Per prima cosa, abbiamo aperto la casa, abbiamo assistito queste
persone offrendo loro tutti i servizi che potevamo fornire. Non abbiamo cibo da dare
alla gente che si è data comunque da fare, ottenendo qualche aiuto dal Pam, il Programma
Alimentare. Ma comunque, la gente è rimasta da noi fino a questa mattina.
D.
– E adesso la situazione com’è?
R. – A Bouar, quando gli anti-Balaka sono arrivati,
i Seleka sono andati via. Ma, prima di andarsene, hanno ucciso molti civili. È anche
vero, però, che gli anti-Balaka – che ora hanno preso il controllo – iniziano a prendere
di mira i musulmani: rubano le loro cose, chiedono soldi, minacciano addirittura di
uccidere.
D. – Qual è l’emergenza più critica in questo momento?
R.
– Diciamo che in questo momento la gente è tornata a casa. A Bouar si può stare tranquilli.
Il problema è che sulla strada da Bouar verso Bangui - circa 450 km - abbiamo un Centro
della Missione dei Padri carmelitani che si chiama Baoro, che dista 60 km da Bouar.
Lì, Seleka e anti-Balaka continuano a farsi la guerra. La situazione è difficile,
perché non ci sono collegamenti telefonici, non si può comunicare. Ma comunque, operatori
di Medici Senza Frontiere hanno potuto raggiungere Baoro: ci hanno detto che ci sono
stati almeno 100 morti. In quella zona non c’è la Misca, la Forza internazionale che
può frapporsi tra Balaka e Seleka, e quindi si uccide come se nulla fosse, si dà fuoco
alle case… Sappiamo anche che i Seleka vanno alla Missione per sparare, per saccheggiare
le persone. Quindi, a Baoro è molto dura in questo momento.
D. - Cosa serve,
anche a livello internazionale, per il Centrafrica ora?
R. - Quello che noi
chiediamo è, se possibile, la presenza della Forza internazionale in questi luoghi,
per infondere più fiducia.
D. - Qual è la speranza per il futuro del Centrafrica?
R.
- Per noi, la speranza è che la pace arrivi il più presto possibile. E soprattutto,
che ci sia sicurezza per la gente, per i civili. Credo che con il tempo, pian piano,
sia possibile ricominciare a vivere tutti insieme.