Stato dell’Unione. Prof. Fasce: Obama pronto a sfidare il Congresso su Iran e salario
minimo
Il 2014 sarà l'anno della svolta per l'America: è la promessa di Barack Obama nel
suo quinto discorso sullo Stato dell’Unione. Il 44.mo presidente degli Stati Uniti
si è mostrato determinato ad affermare la sua agenda politica e sociale, per troppo
tempo rimasta, a suo dire, ostaggio delle lotte tra partiti. “Se il Congresso si rifiuterà
di prendere le misure necessarie per sostenere la classe media – ha avvertito - agirò
per decreto”. Martedì, la Casa Bianca ha approvato l'innalzamento del salario minimo
per i soli dipendenti federali. Un piccolo passo verso la strategia di lotta alle
diseguaglianze. C’è poi l’impegno a fermare la violenza delle armi in America. E,
ancora, la nuova promessa di chiudere il carcere di Guantanamo entro quest’anno. Da
Washington, il servizio di Francesca Baronio:
Una mano tesa
al dialogo, “Sono ansioso di lavorare con voi”, dice Obama al Congresso e all’America
tutta; con l’altra, però, si appresta a dirigere e fare scelte anche senza l’appoggio
dei Repubblicani. Dopo aver ricordato i propri successi, la ripresa economica, l’abbassamento
del tasso di disoccupazione, la ritrovata indipendenza energetica degli States,
il presidente torna sul suo “cavallo di battaglia”: le disuguaglianze e il rafforzamento
della classe media. Tanti i progetti, scuola materna per tutti, il ripristino dei
fondi per la ricerca e del sussidio di disoccupazione, l’importante riforma sull’immigrazione,
ma anche ambiente ed energia pulita. Una difesa accorata dell’Obamacare, la
tanto contestata riforma sanitaria e solo un cenno al bill gun, la riforma
sul controllo delle armi, mai approvata. Il presidente assicura "un anno di azione"
e annuncia l’uso di decreti esecutivi se non si troverà l’accordo con il Congresso.
Ma i numeri parlano chiaro: il tasso di popolarità di Obama è al 43% le elezioni
di mid term dietro l’angolo. Il primo presidente afro-americano ha solo pochi
mesi davanti per garantirsi una legacy prima che il Congresso si concentri
sulle elezioni presidenziali del 2016.
Per un commento sui contenuti e
il tono, particolarmente deciso, del discorso di Obama, Alessandro Gisotti
ha intervistato l’americanista dell’Università di Genova, Ferdinando Fasce:
R. - Obama negli
ultimi mesi, in almeno un paio di occasioni, ha mostrato una determinazione che gli
era mancata in passato. In questo caso, direi che ha preso atto delle difficoltà di
dialogo con i Repubblicani all’interno del Congresso e quindi gioca il tutto per tutto,
essendo poi ormai avviato verso il completamento della metà del secondo mandato.
D.
- Questo è un dato che chiaramente pesa. Ci sono le elezioni di mid-term -
di medio termine - a novembre, e quindi, in qualche modo, bisogna approvare o comunque
portare avanti l’agenda politica entro quella data, perché poi si guarderà già alle
presidenziali del 2016 …
R. - Senza dubbio! E questo può forse giustificare
il fatto - come notava il New York Times stamani - che al tono che è molto
determinato, corrispondano delle proposte di politiche che non sono coraggiosissime…
anche se, però, all’interno c’è questo discorso del minimo salariale che è una proposta
importante.
D. – Il minimo salariale è appunto quello che ha colpito di più
per quanto riguarda la politica interna: la battaglia per la riduzione delle diseguaglianze,
e poi - ovviamente - l’accento sulla classe media, il nerbo e il cuore della forza
dell’America…
R. - Non c’è dubbio. Mi ha colpito anche il fatto che, più che
“classe media”, ha sottolineato il tema “famiglie”. Ecco, questo mi sembra un dato
decisamente importante, anche se la questione del minimo salariale assumerebbe un
rilievo più forte se si potesse passare attraverso una legge del Congresso che riguarderebbe
un numero molto maggiore di lavoratori che - non dimentichiamo - o dipendono dal governo
federale o lavorano su contratti del governo federale.
D. - Sulla politica
estera una sottolineatura importante del presidente è stata fatta sull’Iran: "Se ci
saranno nuove sanzioni da parte del Congresso - ha detto - porrò il veto". Anche questo
è un dato molto significativo …
R. - Si tratta di una questione molto controversa.
È un passaggio che non ha ricevuto nessun tipo di reazione positiva, di sostegno da
parte dei membri del Congresso, perché c’è ancora molto scetticismo rispetto all’Iran,
anche se io credo che sia probabile che questa invece potrebbe essere una delle aperture
ed uno dei momenti chiave della politica estera obamiana nei due mandati.
D.
- Dopo questo discorso sullo Stato dell’Unione c’è un rafforzamento in qualche modo
del profilo del presidente rispetto al Congresso. Peraltro, negli anni, nel tempo
si è anche sottolineato un rischio a volte di overstretching, cioè di eccessivo
potere presidenziale rispetto al Congresso. Qual è la sua idea a riguardo?
R.
- La situazione di Obama, dal punto di vista della popolarità, è difficile, anche
perché si è modificato molto il mondo dei media. Quindi, con questa pluralità e con
questa diffusività degli strumenti mediatici, il ruolo che il presidente era riuscito
a costruirsi in un secolo sostanzialmente nel ‘900 - pensiamo ai discorsi al caminetto
di Roosevelt e così via - è decisamente più difficile e limitato. È molto probabile
che andiamo ancora incontro a degli scontri, però non bisogna dimenticare una cosa:
gli Stati Uniti si giocano il loro futuro! C’è da augurarsi che gli elementi estremisti
all’interno del Congresso assumano una posizione più responsabile.