Caritas denuncia: la salute dei rom, tra diseguaglianze e discriminazione
In Italia, i rom sono il popolo che subisce le maggiori diseguaglianze nella salute.
Se ne è parlato ieri in un convegno “La salute dei rom: disuguaglianze vissute, equità
rivendicata”, organizzato a Roma dalla Caritas di Roma e introdotto dal card. Agostino
Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma. E' stata una giornata di riflessione
sulla salute dei gruppi rom che vivono in condizione di disagio socio-abitativo e
sulle metodologie di intervento e di promozione sanitaria. Durante i lavori, si è
sottolineato come le cause di discriminazione trovino origine nella povertà, nel disagio
e nelle cattive politiche, temi anche al centro del libro “Salute rom. Itinerari possibili”,
presentato nella stessa sede. Tra gli autori, Salvatore Geraci, responsabile
area sanitari di Caritas Italiana. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – In Italia,
abbiamo assistito, proprio nei confronti dei rom, a politiche che sono state patogene,
cioè che hanno prodotto malattia, disagio, segregazione e hanno prodotto discriminazione
e disuguaglianze. Noi partiamo da questo punto e da lì cerchiamo di identificare dei
percorsi possibili, perlomeno nei micro-interventi, perché i macro-interventi sono
interventi delle politiche che non dipendono da una Caritas, o dagli operatori o dalla
buona volontà delle singole persone. La situazione è complessa: è un’esclusione sociale
che si autoalimenta, che produce povertà, malattia, che produce a sua volta ancora
esclusione. E si crea questa sorta di circolo tremendo che non permette mai a questa
popolazione di accedere a programmi di salute, di cui hanno diritto. In Italia, almeno
il diritto all’assistenza sanitaria, sulla carta, è per tutti.
D. – Ma questo
diritto viene applicato? I rom, nelle strutture ospedaliere, negli ambulatori, nelle
Asl subiscono discriminazione?
R. – C’è anche un tema della discriminazione,
ma non è forse il più importante. Il nodo è quello dell’accessibilità ai servizi,
prima ancora della fruibilità, della possibilità di avviare percorsi assistenziali,
che siano adeguati per questo tipo di popolazione. Se si riuscisse a intervenire per
poter garantire dei percorsi assistenziali appropriati, anche il tema della discriminazione
sarebbe molto più confinato e in qualche modo gestibile.
D. – Quali sono le
politiche che voi ritenete causa di questa situazione di grave diseguaglianza?
R.
– I rom sono 150 mila in tutta Italia, quindi una popolazione numericamente molto
esigua. Di questi, la metà sono cittadini italiani e, di questi, una parte, 70-80
mila, vivono nei campi e queste sono le situazioni di maggior degrado. Sono quindi
scelte ben precise dal punto di vista politico. Fin quando noi manteniamo i campi,
piccoli o grandi, fin quando continuiamo a fare sgomberi costanti, fin quando non
puntiamo in maniera costante sulla scolarizzazione dei bambini, che vengono spostati
da una parte e l’altra, non si riuscirà chiaramente a risolvere questo problema. La
responsabilità quindi, devo dire, è molto diffusa: da parte di chi ha fatto scelte
macro, ma anche da parte delle amministrazioni delle città, che non hanno voluto affrontare
un tema con una lungimiranza e una tenacia nell’intervento che richiede.
D.
– In concreto, parlando delle fasce più vulnerabili, cosa ne è dell’assistenza alle
donne in gravidanza, o ai bambini più piccoli?
R. – Le donne rom hanno un accesso
alla tutela della gravidanza più tardiva rispetto alle altre donne. Non hanno spesso
delle abitudini tipo il fumo in gravidanza, che non sono certamente buone, ma che
sono conseguenze chiaramente delle condizioni sociali in cui queste persone vivono.
Questo produce, a livello di patologia perinatale, cioè poco prima e subito dopo la
nascita, delle disuguaglianze, cioè delle differenze significative rispetto alla popolazione
autoctona, ossia alla popolazione italiana. Abbiamo, quindi, basso peso alla nascita,
parti prematuri, morbilità perinatale abbastanza alta rispetto alla popolazione. Lo
vediamo anche nei ricoveri, che sono ricoveri ripetuti, a volte anche abbastanza complessi,
proprio perché c’è una riduzione dell’accesso, sia durante la gravidanza, ma anche
nei primi anni di vita del bambino, al pediatra di scelta, che è un po’ il riferimento.
Su questo c’è stato un accordo Stato-Regioni di un anno fa, che ha previsto che, ad
esempio, tutti i minori, indipendentemente dallo status giuridico, debbano avere l’iscrizione
al Servizio sanitario regionale e un pediatra di libera scelta. Solamente due Regioni
in questo momento hanno fatto delle azioni, perché questo avvenisse sul piano dei
minori. La responsabilità, quindi, è quella di non applicare le leggi che ci sono.
E chiaramente le persone più fragili, in questo caso i bambini rom, sono quelle più
discriminate. Nel momento in cui gli operatori del servizio pubblico e gli operatori
del privato sociale, coinvolgendo i rom stessi, riescono a creare alleanze, a creare
rete e comunicazione, gli indicatori di salute migliorano.