Egitto: 86 morti negli ultimi due giorni. Il generale al-Sisi accetta la candidatura
alle presidenziali
In Egitto è Abdel Fatah Sisi, promosso al grado di maresciallo, più alta carica militare,
il candidato alle presidenziali nel Paese. Lo ha deciso il Consiglio supremo militare
e lui in serata ha accettato. Cresce l’attesa per la data delle elezioni, probabilmente
a fine marzo. Intanto è salito ad 86 morti il bilancio delle violenze scoppiate da
venerdì nel Paese. Preoccupazione in proposito è stata espressa dall’Onu. Sulla situazione
nel Paese Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Alberto Ventura,
docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università della Calabria:
R. - Bisogna
ricordare che la cifra dei deceduti dal luglio scorso – da quanto cioè è stato destituito
Morsi – si aggira intorno al migliaio. È una situazione veramente molto grave. La
rivoluzione che aveva portato all’abbattimento del regime di Mubarak, tre anni fa,
in qualche modo è abortita: dalle elezioni democratiche che ne sono risultate ha vinto
un partito, quello dei Fratelli Musulmani, che non ha risolto i problemi anzi ha scontentato
gran parte di quelle che erano state le anime della rivoluzione. Alla fine, naturalmente,
l’intervento militare ha preso il sopravvento e sta conducendo la situazione egiziana
in maniera non particolarmente efficiente, né come intelligence del terrorismo, né
soprattutto come proposta politica per una normalizzazione del Paese.
D. –
In questo contesto le elezioni presidenziali si svolgeranno prima delle parlamentari…
R.
– Sì, vedremo a cosa porteranno. È certo che il popolo egiziano in questo momento
è piuttosto stanco dell’instabilità e della profondissima crisi economica che attanaglia
il Paese; quindi, non credo che a breve ci possano essere svolte particolarmente decisive.
Ho paura che l’instabilità e le violenze potranno continuare.
D. – Neanche
dieci giorni fa con il referendum è stata approvata - praticamente all’unanimità -
la nuova Costituzione…
R. – Innanzitutto, l’approvazione della Costituzione
è solo un passo formale che deve essere seguito poi da un mutamento sostanziale. Sono
molti gli articoli di questa Costituzione che sono stati ritoccati rispetto a quella,
pur recente, del 2012, approvata sotto il governo di Morsi, e che fanno pensare ad
un maggiore rispetto dei diritti umani, a maggiori tutele verso i minori e verso i
diritti delle donne. E’ chiaro però che bisogna vedere nella realtà cosa succede;
per esempio, quando si parla di libertà di espressione e di manifestazione e poi però
si danno ampi poteri alle istituzioni di vietare, e se necessario contenere anche
con la forza, queste manifestazioni allora il dettato costituzionale sembra del tutto
inutile. Più che una vigilanza su articoli che riguardano i diritti umani, la cosa
importante sarebbe un cambiamento politico profondo.
D. – Con la decisione
di anticipare le presidenziali prima delle legislative gli occhi puntati adesso sono
sul generale Al Sisi, che si è detto pronto ad una candidatura se questo fosse richiesto.
Questo uomo forte viene acclamato nelle piazze come in grado di riportare la stabilità
e la sicurezza…
R. – La sensazione è che si voglia forzare un po’ la mano
su queste elezioni proprio per confermare alla guida del Paese questo indirizzo militare
forte; finora però non sembra che questo gruppo di militari sia riuscito a garantire
quella stabilità che vorrebbe promettere a parole. I segnali che ci arrivano - con
intromissioni di gruppi terroristici e con brigate del Sinai – continuano, nonostante
la repressione avvenuta sul posto, a far sentire la loro voce, adesso anche con attentati
kamikaze e autobombe nelle stesse grandi città, come Il Cairo ed altre città dell’Egitto.
Il progetto dell’uomo forte, che salva il Paese potrebbe essere una chimera.
D.
– Come si inquadra l’Egitto in questo momento nel contesto internazionale?
R.
– Gli intrecci sono molteplici. Innanzitutto, mi sembra ci sia un evidente tentativo
di ricollocamento dell’Egitto in un’ottica continentale-africana: la visita del ministro
degli Esteri Nabil Fahmy in Algeria sta a significare proprio questo, nonostante siano
state smentite voci di accordi più o meno segreti tra i due Paesi. L’Egitto si sta
quindi rendendo conto che in questo momento potrebbe essere una potenza regionale,
non tanto nella questione mediorientale – come ha sempre cercato di fare –più che
altro sul fronte africano vero e proprio. In quel caso potrebbe esser un Paese leader
e recuperare parte di quel prestigio, anche economico, che in gran parte ha perso.