2014-01-27 14:00:03

Egitto: 86 morti negli ultimi due giorni. Il generale al-Sisi accetta la candidatura alle presidenziali


In Egitto è Abdel Fatah Sisi, promosso al grado di maresciallo, più alta carica militare, il candidato alle presidenziali nel Paese. Lo ha deciso il Consiglio supremo militare e lui in serata ha accettato. Cresce l’attesa per la data delle elezioni, probabilmente a fine marzo. Intanto è salito ad 86 morti il bilancio delle violenze scoppiate da venerdì nel Paese. Preoccupazione in proposito è stata espressa dall’Onu. Sulla situazione nel Paese Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università della Calabria:RealAudioMP3

R. - Bisogna ricordare che la cifra dei deceduti dal luglio scorso – da quanto cioè è stato destituito Morsi – si aggira intorno al migliaio. È una situazione veramente molto grave. La rivoluzione che aveva portato all’abbattimento del regime di Mubarak, tre anni fa, in qualche modo è abortita: dalle elezioni democratiche che ne sono risultate ha vinto un partito, quello dei Fratelli Musulmani, che non ha risolto i problemi anzi ha scontentato gran parte di quelle che erano state le anime della rivoluzione. Alla fine, naturalmente, l’intervento militare ha preso il sopravvento e sta conducendo la situazione egiziana in maniera non particolarmente efficiente, né come intelligence del terrorismo, né soprattutto come proposta politica per una normalizzazione del Paese.

D. – In questo contesto le elezioni presidenziali si svolgeranno prima delle parlamentari…

R. – Sì, vedremo a cosa porteranno. È certo che il popolo egiziano in questo momento è piuttosto stanco dell’instabilità e della profondissima crisi economica che attanaglia il Paese; quindi, non credo che a breve ci possano essere svolte particolarmente decisive. Ho paura che l’instabilità e le violenze potranno continuare.

D. – Neanche dieci giorni fa con il referendum è stata approvata - praticamente all’unanimità - la nuova Costituzione…

R. – Innanzitutto, l’approvazione della Costituzione è solo un passo formale che deve essere seguito poi da un mutamento sostanziale. Sono molti gli articoli di questa Costituzione che sono stati ritoccati rispetto a quella, pur recente, del 2012, approvata sotto il governo di Morsi, e che fanno pensare ad un maggiore rispetto dei diritti umani, a maggiori tutele verso i minori e verso i diritti delle donne. E’ chiaro però che bisogna vedere nella realtà cosa succede; per esempio, quando si parla di libertà di espressione e di manifestazione e poi però si danno ampi poteri alle istituzioni di vietare, e se necessario contenere anche con la forza, queste manifestazioni allora il dettato costituzionale sembra del tutto inutile. Più che una vigilanza su articoli che riguardano i diritti umani, la cosa importante sarebbe un cambiamento politico profondo.

D. – Con la decisione di anticipare le presidenziali prima delle legislative gli occhi puntati adesso sono sul generale Al Sisi, che si è detto pronto ad una candidatura se questo fosse richiesto. Questo uomo forte viene acclamato nelle piazze come in grado di riportare la stabilità e la sicurezza…

R. – La sensazione è che si voglia forzare un po’ la mano su queste elezioni proprio per confermare alla guida del Paese questo indirizzo militare forte; finora però non sembra che questo gruppo di militari sia riuscito a garantire quella stabilità che vorrebbe promettere a parole. I segnali che ci arrivano - con intromissioni di gruppi terroristici e con brigate del Sinai – continuano, nonostante la repressione avvenuta sul posto, a far sentire la loro voce, adesso anche con attentati kamikaze e autobombe nelle stesse grandi città, come Il Cairo ed altre città dell’Egitto. Il progetto dell’uomo forte, che salva il Paese potrebbe essere una chimera.

D. – Come si inquadra l’Egitto in questo momento nel contesto internazionale?

R. – Gli intrecci sono molteplici. Innanzitutto, mi sembra ci sia un evidente tentativo di ricollocamento dell’Egitto in un’ottica continentale-africana: la visita del ministro degli Esteri Nabil Fahmy in Algeria sta a significare proprio questo, nonostante siano state smentite voci di accordi più o meno segreti tra i due Paesi. L’Egitto si sta quindi rendendo conto che in questo momento potrebbe essere una potenza regionale, non tanto nella questione mediorientale – come ha sempre cercato di fare –più che altro sul fronte africano vero e proprio. In quel caso potrebbe esser un Paese leader e recuperare parte di quel prestigio, anche economico, che in gran parte ha perso.


Ultimo aggiornamento: 28 gennaio







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