Card. Schönborn: usciamo dalle parrocchie per incontrare la vita degli altri
E’ iniziata ieri, e proseguirà fino a venerdì, la visita ad limina dei vescovi dell’Austria.
Tanti i temi di attualità che interpellano la Chiesa di questo Paese nel cuore dell’Europa,
con circa 8 milioni e mezzo di abitanti, che - battezzati all'89 per cento - si dichiarano
cattolici al 63%, di cui solo il 9% frequenta la Messa, mentre cresce il numero degli
atei. Tra le questioni che, negli ultimi anni, hanno sollevato preoccupazione vi è
stata la cosiddetta “Iniziativa dei Parroci” (Pfarrer-Iniziative), lanciata nel 2006
per chiedere riforme alla Chiesa su temi dottrinali e pastorali. Un appello alla disobbedienza
che era stato condannato da Benedetto XVI durante la Messa del Giovedì Santo nel 2012.
Ma qual è oggi la situazione della Chiesa austriaca? Padre Bernd Hagenkord,
responsabile del Programma tedesco della Radio Vaticana, lo ha chiesto al cardinale
Christoph Schönborn,presidente della Conferenza episcopale austriaca:
R. - Scrivere
della Chiesa nei media e parlare della vita reale della Chiesa sono questioni decisamente
differenti. Io l’ho sperimentato chiaramente nella vicenda dell’“Iniziativa dei parroci”.
In tutto il mondo la percezione della Chiesa austriaca ruotava intorno a quell’unico
tema: ‘l’invito alla disobbedienza’. Ogni qualvolta mi capitava di incontrare dei
vescovi di diverse parti del mondo, mi dicevano sempre: “Poveri voi, che cosa spaventosa!”;
al che io spiegavo che i preti che avevano aderito all’iniziativa erano soltanto una
piccola percentuale e quasi tutti nel distretto di Promill. Quando lo dicevo c’era
sempre grande sorpresa. Da ciò si comprende la differenza tra ciò che viene raccontato
dai media e ciò che è invece la realtà della Chiesa. Lei mi domanda se la Chiesa in
Austria sta vivendo una situazione positiva o negativa? E’ nel mezzo di un grande
processo di cambiamento.
D. - Lei ha portato con sé i risultati al Questionario
in preparazione al prossimo Sinodo su Famiglia ed evangelizzazione? Sappiamo che in
molte diocesi germanofone si manifesta una profonda discrepanza tra dottrina e fede
vissuta...
R. - E’ impossibile compiere un’analisi in così breve tempo. Per
quanto riguarda l’Austria sono arrivate 30mila risposte, è un dato enorme ed è un
buon segno, perché c’è un grande interesse al riguardo.
D. - Ma volendo fare
una supposizione: la tendenza sarà simile, tra trasmissione della fede e prassi ci
sarà un abisso...
R. - Posso tentare di dirla così: i desideri, le speranze
e le aspettative coincidono più di quanto ci si aspetti con ciò che la Bibbia e la
Chiesa affermano in materia di matrimonio e famiglia. Ciò che per molte persone resta
il quadro di riferimento è una relazione riuscita, una famiglia riuscita, una società
in cui le diverse generazioni siano unite nella famiglia. La realtà molto spesso non
corrisponde a questa visione e creare un ponte tra ciò che si desidera e ciò che invece
è, ciò che di fatto si riesce a fare, è naturalmente la grande sfida che si pone di
fronte a tutti noi. La questione cruciale, che non soltanto pone Papa Francesco, ma
che naturalmente è già nel Vangelo, è quella di far coincidere realtà e misericordia.
La misericordia di Dio e degli uomini, nei confronti di ciò che solo talvolta riesce
come si vorrebbe, o non riesce affatto, nei confronti di ciò che si è sperato e atteso
e anche di ciò che è l’insegnamento e l’indirizzamento che Dio dà agli uomini. Riuscire
a mettere insieme queste cose è un compito molto difficile e che peraltro non è affatto
nuovo. Un Cancelliere austriaco ha detto una volta questa frase: ‘Imparate la storia!’.
Rifletto spesso sul fatto che dimentichiamo, quanto poco scontato fosse il matrimonio
prima. Noi ci comportiamo come se la convivenza tra le persone al di fuori del matrimonio,
che per le giovani generazioni, e non solo per loro, è divenuta ampiamente scontata,
non fosse una assoluta novità nella storia dell’umanità. Io credo che dovremmo prendere
assolutamente sul serio le difficoltà attuali, ma allo stesso tempo non dobbiamo esasperarle
drammaticamente.
D. - Lei ha fatto riferimento al cambiamento, e la sua stessa
diocesi ha avviato la nascita di grandi distretti parrocchiali e una collaborazione
grande tra laici e parroci. Ci sono già delle esperienze che potete condividere con
la Chiesa universale?
R. - Sicuramente una è quella che le riforme sono necessarie
quando si hanno strutture che in parte risalgono alla fine del 18.mo secolo e che
sono fortemente segnate dall’aumento delle parrocchie avvenuto nel 19.mo secolo e
nel dopoguerra. Una situazione che non corrisponde più alla realtà dell’oscillante
numero dei cattolici, ma neppure alle differenti abitudini di vita. Le persone non
vanno automaticamente nella loro parrocchia di appartenenza, e possiamo dire con certezza
che moltissimi dei collaboratori dei parroci non vivono affatto nella parrocchia nella
quale sono impegnati. Dall’altra parte si mostra anche un diverso modo di strutturarsi
della parrocchia, un luogo dove le persone si ritrovano e dove trovano una comunità
di fede vivace, non necessariamente nelle loro zone di appartenenza territoriale.
Questo processo di rinnovamento è secondo noi soltanto all’inizio, e credo che lo
stiamo affrontando coraggiosamente.
D. Ci sono anche altri ambiti o temi che
state affrontando?
R. Credo che la questione principale sia quella di comprendere
come gli uomini possano trovare nuovamente nel Vangelo e in Cristo il loro desiderio
di spiritualità, di appartenenza religiosa, di orientamento. Se noi ce ne occupiamo
soltanto con le nostre strutture, allora facciamo ciò che Papa Francesco ha criticato
fortemente come autoreferenzialità della Chiesa. La questione fondamentale è se a
noi sta a cuore individuare gli uomini che sono in ricerca e trovare una strada che
porti a Cristo. Se valuto molto obiettivamente che di tutta la popolazione viennese,
che ammonta a 1,8 milioni di persone, solo il due per cento frequenta la Messa domenicale.
Dove si svolge la vita di tutti gli altri? Cosa muove i loro cuori? Quali sono le
loro speranze e preoccupazioni? Le loro paure? Preferiamo come comunità parrocchiale,
come comunità cristiana, starcene bene e tranquilli dentro le nostre mura, o ci brucia
la domanda se questi uomini conoscono Cristo? Questa è la questione che dovremmo sondare!