Tunisia. Voto sulla nuova Costituzione "laica", la protesta degli islamisti
In Tunisia, ieri il voto dell’Assemblea costituente sul testo della nuova Costituzione.
Continuano però le manifestazioni delle fazioni più integraliste e contrarie all’instaurazione
di quella che viene definita “una Carta laica”. Intanto, ieri mattina, il presidente
Marzouki ha incaricato nuovamente l'ex ministro Jomaa di formare un governo indipendente
che dovrebbe guidare il periodo di transizione, a tre anni dalla caduta del regime
di Ben Ali. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Silvia Colombo
esperta dell’area dell’Istituto Affari Internazionali:
R. – Siamo
ormai a tre anni dall’inizio di questo lungo e travagliato processo, che è iniziato
nel 2011 con la caduta di Ben Alì. Dopo molte lotte, molti scontri e anche episodi
di violenza, finalmente la Tunisia può dire di aver raggiunto un minimo consenso,
sufficiente a poter voltare pagina, ad avere nuove regole del gioco che possano formare
il nuovo processo di competizione politica che si aprirà, da questo momento, con vari
passaggi, elezioni presidenziali e via dicendo…
D. – Eppure, in questo contesto,
continuano le manifestazioni delle fazioni più integraliste…
R. – Molti interessi
sono in gioco! Il processo della Costituzione tunisina è sicuramente molto avanzato.
Chiaramente l’aspetto della protesta da parte di frange più estremiste e conservatrici
dal punto di vista religioso pongono in luce come – comunque – siamo in contesto sociale
molto fratturato, anche se non come quello che sta avvenendo in Egitto. Sono due processi
che sono iniziati in parallelo, ma con fortissime divergenze. In questo caso è possibile
dire che la Tunisia ha, in qualche modo, raggiunto un obiettivo che in Egitto ancora
è stato mancato: quello di una Costituzione veramente inclusiva. Si tratterà di vedere
come nella concreta applicazione si riuscirà ad integrare anche delle componenti sociali
che sono rimaste o che si sentono comunque escluse.
D. – Uno degli aspetti
della Costituzione messo in luce è stato quello della parità tra uomo e donna…
R.
– E’ un testo, per quanto riguarda oggigiorno il panorama del mondo arabo, sicuramente
avanzato per un Paese come la Tunisia, che era già abbastanza all’avanguardia da questo
punto di vista. Si spera che ora, su queste nuove basi, si possa veramente fondare
una nuova dialettica politica che porti al rispetto delle regole formali e quindi
al rispetto dei diritti per tutti. Dal punto di vista del ruolo della religione all’interno
del testo costituente vediamo che qui c’è stato una capacità da parte di Ennahda di
fare un passo indietro, rinunciando all’indicazione della sharia all’interno del testo
costituente pur di avere altre garanzie su altri fronti: ci riferiamo, per esempio,
all’ordinamento governativo e quindi alla forma di governo e ad un bilanciamento dei
poteri tra il presidente e il primo ministro. Quindi è un testo complesso, è un testo
in cui vari aspetti sono collegati: per cui, proprio nel momento della negoziazione,
si è dovuto tener conto di una serie di aspetti differenti e di come le parti si siano
relazionate rispetto ad essa.
D. – Economicamente il Paese è in difficoltà.
Adesso c’è la sfida del governo tecnico, chiamato a guidare in questo periodo di transizione:
ce la faranno?
R. – Il punto cruciale è quello di sollevare il Paese dalla
continua sensazione di essere in bilico, dalla continua sensazione di essere su una
strada che non si sa dove conduca. Ora il primo punto – quello della Costituzione
– è stato raggiunto. In questi tre anni la Tunisia ha sofferto molto per la mancanza
di un programma e di piani concreti per il miglioramento socio-economico, che è stato
anche uno dei fattori che ha portato - di fatto - all’inizio della transizione, con
lo scoppio delle proteste nel 2011. Quindi è importantissimo che adesso – da un certo
punto di vista – si mettano da parte le conquiste istituzionali e politiche e ci si
concentri anche su altri obiettivi, tra cui quelli socio-economici. Il Paese ha bisogno
di rilanciarsi e, dal punto di vista economico, creare nuovi posti di lavoro. L’Europa
può avere un ruolo. Diciamo che questa è un’ulteriore sfida, ma con buone premesse
per cui si possa veramente lavorare.