2014-01-22 20:19:51

A Bologna cerimonia funebre per Claudio Abbado


Si sono tenute giovedì notte nella Basilica di Santo Stefano a Bologna le esequie in forma strettamente privata del maestro Claudio Abbado, scomparso il 20 gennaio a 80 anni nella sua casa bolognese, dopo una lunga malattia. Attorno al feretro, alla chiusura della camera ardente rimasta aperta per due giorni, solo la famiglia del maestro e l'amico don Giovanni Nicolini che ha guidato la cerimonia. Ad accompagnare l'estremo saluto anche alcuni musicisti che intorno all'una hanno suonato un breve brano caro al direttore d'orchestra. Il feretro è stato quindi portato al cimitero di Borgo Panigale per la cremazione, come disposto dallo stesso Abbado. Si è chiusa così una lunga vita interamente dedicata alla musica sin dall’età di sette anni. Lo ricorda al microfono di Gabriella Ceraso il suo amico e direttore della Filarmonica della Scala, Ernesto Schiavi:RealAudioMP3

R. – Abbado si può definire proprio un amico della musica: un amico intelligente, colto e sensibile. Ha restituito alla Scala di Milano, all’Italia, a tutto il mondo, tantissimo.

D. – Un uomo rigoroso, un artista serio, molto sensibile. Penso che nella fondazione della Filarmonica a cui il maestro ha contribuito abbia portato anche una sua idea di fare musica…

R. – Lui definiva sempre suonare, eseguire un concerto, come fare musica insieme e questo viene da una cultura che nasce dalla sua formazione anche viennese, che nasce dalla musica da camera, dal suonare in pochi e poi in tanti, che non è altro che un numero aggiuntivo. Ma il valore filosofico ed anche sociale è quello di lavorare per fare le cose insieme.

D. – Io le giro una frase, me la commenti: “La musica è necessaria alla vita, può cambiarla, può migliorarla e addirittura in alcuni casi può salvarla”. Lo diceva il maestro…

R. – Questo viene anche dalle sue esperienze, ad esempio con il sistema "Abreu" in Venezuela. Tornò folgorato da come la musica potesse diventare una forma di socialità organizzata: salvare anche gli emarginati, dando loro un interesse e creando una struttura. Per cui, la funzione della musica è esattamente anche questa.

D. – Il presidente Napolitano ma non solo, ricordando l’amico Abbado, ha citato anche i tanti giovani che il maestro ha formato e seguito nel tempo come studenti, e che ora sono grandi professionisti. Perché questa passione per i ragazzi?

R. – Perché lui è un ragazzo, è rimasto un ragazzo. Poi, è chiaro, che la grande professionalità, la sua internazionalità creava in questi giovani giustamente una forma di emulazione e di interesse. Credo fosse proprio il piacere di stare con i giovani bravi, che sapessero lavorare bene ma che dessero anche a lui entusiasmo continuo - la Mahler, l'ECO (European Contemporary Orchestra - ndr) - sono orchestre formate da giovani di tutta Europa - ma è soprattutto il mettere insieme tutte queste culture, in cui lui ha sempre trasmesso il suo entusiasmo ed ha anche ricevuto entusiasmo, come linfa anche per se stesso.

D. – Di solito, di un direttore di orchestra quando sale sul podio si guarda il gesto e dal gesto si risale a una concezione, a un’idea della musica, ma anche all’essere umano. Dal gesto del maestro cosa si deduce?

R. – Il gesto è fatto di due parti. Una parte è il linguaggio, la scuola: Abbado aveva un gesto molto bello di scuola mitteleuropea, con una mano sinistra molto espressiva, un senso del ritmo e una coordinazione straordinaria. Poi, dal gesto, oltre alla scuola, si può risalire al carattere: si vede un carattere perentorio, carattere di forza ma mai forza muscolare, sempre forza di pensiero, che si trasmette attraverso la perentorietà ma anche la rotondità. Questo era il suo gesto.

D. – Che cos’era che veramente lo appassionava?

R. – Era proprio il pensare un’opera o un brano musicale nella sua interezza, da cima a fondo. Quello che credo lo appassionasse era proprio l’idea globale del pezzo. Infatti, era un direttore in cui, non conoscendolo nella concertazione, si poteva pensare che fosse noioso, perché ripeteva sempre, lavorava e ripeteva. Non ci si accorgeva però che in questa noiosità delle ripetizioni lui arrivava poi a un’idea finale che era la sua e di cui tu, musicista, ti accorgevi poco durante il lavoro, te ne accorgevi poi al momento dell’esecuzione.

D. – Quindi, più che una nota - come diceva lei - è la magia della musica che lui voleva ricreare…

R. – Lui voleva creare quello che era stato scritto dal compositore dalla A alla Z, nella sua interezza, dandolo fedelmente. Questo era quello che lui voleva sempre, al di là dei particolari.

D. – In queste ore, non solo Milano, non solo Bologna, non solo l’Italia, ma anche Berlino, Vienna, Salisburgo lo ricordano. Molti teatri gli stanno dedicando le prime di alcuni spettacoli, o comunque un pensiero. Cos’è che rende un maestro tanto amato a livello mondiale?

R. – Credo che a livello mondiale passino alcune cose. Una è la preparazione, la capacità, la tecnica, la visione musicale. Un’altra cosa è il carisma, il personaggio, la statura del personaggio, quindi la profondità e la capacità di comunicare. Evidentemente se il mondo – non solo Milano – risponde così, vuol dire che Claudio queste cose le aveva tutte.







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