Le Associazioni di volontariato a Roma per lottare contro l'esclusione sociale
“Nessuno escluso” è il titolo della quinta edizione di “Virtutes agendae”, manifestazione
organizzata dal Modavi, Movimento delle associazioni di volontariato italiano (il
17 e 18 gennaio) al palazzo delle Esposizioni di Roma. Tema di quest’anno è la lotta
all’esclusione sociale di cui sono vittime, tra gli altri, gli anziani in difficoltà
in un mondo sempre più tecnologico, i disabili o i figli degli immigrati a cui non
viene riconosciuta la cittadinanza italiana.Al microfono di Elisa Sartarelli,
Irma Casula, presidente del Modavi Onlus:
R. - Gli esclusi
sono purtroppo moltissimi e appartengono a diverse categorie, a diverse fasce di popolazione.
Innanzitutto sono i disoccupati, che sono ormai tantissimi nel nostro Paese; poi c’è
la disoccupazione giovanile, che raggiunge un tasso del 35 per cento; i giovani che
non finiscono il ciclo di studi; i nuovi poveri, le persone che vivono in uno stato
di povertà assoluta o relativa; e tutte quelle mamme, tutti quei genitori che non
possono godere dei servizi all’infanzia. Il nostro Paese oggi risponde soltanto per
il 12 per cento alle richieste delle famiglie per i servizi all’infanzia. Così, tutte
le altre donne sono costrette, ad esempio, a non poter lavorare e a vivere quindi
una forma di esclusione sociale. Sono purtroppo tantissime: è un fenomeno dilagante
di cui si parla, forse, a sufficienza, ma nei confronti del quale si agisce ancora
troppo poco. D. - Quali sono le cause e le conseguenze dell’esclusione sociale?
R.
- Le cause dell’esclusione sociale, dei tanti problemi in cui versa la nostra società,
vanno secondo me ricercate in un’impostazione culturale che ovviamente ha determinato
questo modus vivendi. Viviamo in una società oggi impregnata sui disvalori
dell’individualismo, dell’egoismo, dell’edonismo, che portano le persone a disinteressarsi
dell’altro nella migliore delle ipotesi; nella peggiore a non vedere proprio l’altro!
Si è concentrati su se stessi e quello che ci sta intorno non ci interessa più, e
quindi non ci adoperiamo per cercare di rendere anche le condizioni di vita di chi
ci sta intorno migliori o comunque uguali alle nostre. Questo, ovviamente, ha generato
una scissione, una lacerazione nel tessuto sociale del Paese.
D. - L’unione
fa la forza e tutto parte dalla famiglia…
R. – Certo! Io credo che per uscire
da questa situazione devastante - se vogliamo anche disumana - la prima cosa da fare
sia quella di provare a ricostruire una comunità. Oggi abbiamo perso il senso delle
relazioni, il senso dell’altro e ovviamente la famiglia è la prima istituzione, il
primo nucleo, è la prima comunità sulla quale sia necessario lavorare. La famiglia
non va denigrata come spesso accade in questo periodo ma valorizzata. Bisogna ripartire
dalla famiglia!
D. - In quale modo le istituzioni pubbliche, il terzo settore,
magari anche l’Europa, potrebbero fare dell’esclusione sociale solo un’eccezione?
R.
- L’Europa, almeno a parole e a numeri, diciamo che si è impegnata. Impone ai Paesi
membri di spendere il 20 per cento dei fondi ad essi destinati per contrastare l’esclusione
sociale e per contrastare la povertà. Per quanto riguarda le istituzioni italiane,
bisogna vedere se saranno in grado, anche in questo caso, di saper usare questi fondi
e di saperli usare bene. Bisogna che le istituzioni, ma non solo, si rendano conto
che fare politiche sociali, pensare un nuovo welfare non è un qualcosa che andrà ad
incidere negativamente sul bilancio dello Stato. Pensare alle categorie svantaggiate,
pensare alle categorie fragili significa fare un investimento per l’Italia e per il
nostro Paese. Bisogna cambiare radicalmente mentalità e capire che non ci possono
essere cittadini di serie a e cittadini di serie b, ma che l’aiuto che si può dare
a qualsiasi cittadino è un investimento che può essere fatto nei confronti di questo
popolo e di questo Paese.