Egitto. Ultimo giorno di voto al referendum sulla Costituzione. 55 arresti
In Egitto secondo e ultimo giorno di voto al referendum sulla nuova Costituzione.
Dopo gli 11 morti di martedì, ieri ci sono stati scontri ma di lieve entità vicino
al palazzo presidenziale al Cairo, dove i sostenitori del deposto presidente Morsi
avevano fatto appello a manifestare contro il referendum stesso. 55 persone sono state
arrestate. Ingenti le misure di sicurezza in tutto il Paese. I seggi si sono chiusi
alle 21 ora locale e i risultati sono attesi nelle prime ore di oggi. Il servizio
di Debora Donnini:
L’ultimo giorno
di voto al referendum sulla nuova costituzione egiziana si è svolto senza gravi incidenti,
anche se ci sono stati scontri e arresti. Piazza Tahrir è presidiata dai carri armati
dell’esercito e la polizia ha disperso una manifestazione pro-Morsi. I sostenitori
dei Fratelli musulmani confidavano in un boicottaggio del referendum ma il governo
parla di alta affluenza. A Giza sono stati attaccati con colpi di arma da fuoco alcuni
seggi elettorali ma la polizia ha messo in fuga gli assalitori. Migliaia di persone,
in gran parte donne, hanno invece manifestato, sempre nella capitale egiziana, il
proprio sostegno alla nuova Costituzione e al generale Abdel Fatah Sisi. Al centro
del referendum la modifica della Carta Fondamentale in senso decisamente "laico".
Questo anche se la sharia, la legge islamica, rimane fonte principale di diritto.
Il nuovo testo sancisce che i partiti politici non possano essere ispirati a discriminazioni
"religiose, di sesso o etnia". Maggiori poteri vengono, poi, attribuiti ai militari.
Sul voto referendario, Massimiliano Menichetti ha sentito Claudio
Lo Jacono, direttore della rivista "Oriente Moderno":
R. – La consultazione
sta andando come vogliono i militari: con una forte partecipazione di cittadini che,
a prescindere da quello che c’è scritto nella Carta – molti neanche l’hanno letta
– votano per il ritorno a un ordine pubblico, a un ordine sociale, che è scomparso
nell’ultimo anno. La gente non ne può più di ideologie, non ne può più di disordini,
non ne può più di contrapposizione, anche tra musulmani e cristiani. Ci sono molti
musulmani e cristiani che non hanno assolutamente intenzione di mettersi in un clima
di guerra civile. Perciò, è un referendum con un’approvazione già scontata e sostanziale:
in questo momento, credo che la maggioranza della popolazione veda nei militari la
diga contro il marasma più totale. Votare per avere i militari che garantiscano un
ritorno a una passabile condizione economica e sociale.
D. – Dunque, i sommovimenti
che hanno inizialmente portato alla caduta di Mubarak, alla fine, si sono rivelati
controproducenti?
R. – Forse controproducenti no, perché è rimasta la convinzione
– secondo me giusta – che una forte pressione della popolazione possa portare a cambiamenti
istituzionali, anche grandi. Rimane questo spirito, che non vorrei neanche chiamare
rivoluzionario: uno spirito di cambiamento. Certo, l’obiettivo di una democratizzazione
– tra virgolette – all’occidentale è fallito. Non si possono importare moduli estranei
alla vita culturale e alle tradizioni di questo grande Paese arabo, islamico e mediterraneo
– non dimentichiamolo – che ha compiuto un suo cammino.
D. – La Costituzione,
di fatto, dà più poteri ai militari. In questo senso, c’è un ritorno al passato…
R.
– Sicuramente, ha più potere oggi la forza militare di quanto non potesse averne sotto
Mubarak stesso o addirittura sotto Sadat. Non so quanto questo possa essere tollerato
nel lungo periodo: va benissimo per uscire dall’emergenza, va benissimo per rimettersi
sui binari di una accettabile condizione economica e sociale, ma non so se alle lunghe
questo potrà essere conservato. Io spero di no, perché non sono assolutamente favorevole
al fatto che i militari dettino – come si dice – l’agenda politica. Da questo punto
di vista, però, mi rassicura il fatto che la massima parte dell’Egitto sia orientata
verso un moderato cambiamento, che prescinda veramente in modo sostanziale dalle impostazioni
religiose.
D. – In questo scenario, arriva la notizia da Washington che si
starebbero sbloccando 1,5 miliardi di dollari di aiuti, che erano stati fermati dopo
la deposizione del presidente Morsi. Sembra un po' un saluto, un incoraggiamento a
questo voto per la Costituzione...
R. – Ma, certo. Gli Stati Uniti possono
dire tante cose per l’opinione pubblica, ovviamente non possono approvare forme violente
di stravolgimento dell’ordine istituzionale, fossero anche portate dai militari… Però,
passata l’ondata, è evidente che quell’Egitto plasmatosi negli ultimi decenni e la
stessa Giunta militare attualmente al potere in Egitto garantiscono una continuità
politica ed economica, che sono fondamentali anche negli equilibri strategici non
solo del Mediterraneo, ma del mondo intero.