2014-01-12 08:15:30

4 anni fa il terremoto ad Haiti. Fondazione Rava: una tragedia dimenticata


Sono trascorsi 4 anni da quel terribile terremoto che distrusse Haiti, causando 230 mila morti ed oltre un milione di sfollati. Una tragedia immane, a cui sono seguiti anche due uragani. Tutto questo ha minato la già fragile economia dell’isola e ha causato numerose epidemie di colera. Una crisi dimenticata, quella haitiana, che però interroga le coscienze su questo piccolo Paese caraibico, che ancora oggi vive una tragedia infinita. Il servizio è di Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

12 gennaio 2010. Alle 16.53 Haiti apre le porte all’inferno. Un terremoto di magnitudo 7.0 devasta l’isola caraibica, causando oltre 220 mila morti ed un milione di sfollati. La capitale Port au-Prince è ridotta ad un cumulo di macerie; migliaia di corpi senza vita giacciono nelle strade per giorni. Peggio ancora la situazione nelle altre città, nei villaggi, raggiunti dai soccorsi solo dopo molte settimane. Il sisma, infatti, ha fatto crollare ponti, strade, gallerie. Ha reso inagibili chilometri e chilometri di strade. Ha causato decine di frane. E a peggiorare la situazione due uragani devastanti. Alle macerie, alle vittime del terremoto, alle migliaia di orfani che vagano per le strade senza meta, si aggiungono centinaia di morti causati dal colera. Quello che è già il Paese più povero del mondo, si trova a dover fronteggiare una tragedia immane, difficilmente gestibile con le proprie forze. Scatta una gara di solidarietà internazionale che, però, non riesce a rimettere in piedi il Paese. Oggi, infatti, a 4 anni di distanza, Haiti è e resta un cumulo di macerie. L'inferno è ancora lì.

Sulle difficoltà che ancora oggi vive Haiti, a distanza di 4 anni dal terremoto, Salvatore Sabatino ha intervistato Maria Vittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava, NPH Italia Onlus, presente sull’isola da oltre 27 anni, con una serie di progetti destinati ad aiutare lo sviluppo della popolazione haitiana:

R. - La situazione è sempre difficilissima! E’ difficile anche descriverla a parole, perché soltanto venendo qui ci si può rendere conto di come in questo angolo del mondo ci sia soltanto immondizia, soltanto distruzione e soltanto disperazione. Non c’è cambiamento, nel senso che le persone che hanno perso la casa sono ancora senza casa: vivono nelle loro tende, in baracche… Non c’è stata una ricostruzione del Paese!

D. - Ricordiamo tutti la gara di solidarietà internazionale scattata all’indomani del sisma: ha poi portato qualche risultato o sono state solamente promesse, poi non mantenute?

R. - Quello che posso dire è che - per esempio - nel nostro caso ciò che è stato raccolto è stato messo a buon fine, ma immediatamente: non abbiamo dovuto aspettare anni. Ha dato frutti dei quali io stessa mi stupisco ogni volta che vado: migliaia e migliaia di bambini aiutati ogni giorno, bambini che sono rimasti orfani dopo il terremoto e che avrebbero probabilmente vissuto per strada, senza alcun aiuto. In generale c’è stato sicuramente qualche meccanismo che non ha funzionato bene. Non sono io a doverlo dire, perché noi siamo una "piccola pedina", ma con tutti i soldi che sono stati raccolti e suddivisi pro capite per gli otto milioni di abitanti di Haiti si sarebbe potuto fare qualcosa di più: anzi molto di più! Per questa popolazione che lo merita, lo merita assolutamente perché hanno voglia di fare: quando tu dai loro una chance, un lavoro, sanno veramente dare il massimo e recuperare. Lo vedo nei ragazzi che conosco e che seguiamo con le borse di studio. E’ incredibile, è commovente: ogni volta torno a casa e penso: “Abbiamo fatto molto poco!”.

D. - Le emergenze maggiori riguardano purtroppo, ancora oggi, i bambini: voi come intervenite nel concreto su questo fronte?

R. - I nostri progetti si concentrano proprio sui bambini anche perché c’è un’altissima malnutrizione, che è ancora la prima causa di mortalità. Manca l’acqua, manca l’igiene, manca l’acqua potabile. Abbiamo un centro anticolera - che è nato dopo la prima epidemia - che accoglie 20 mila pazienti l’anno ed è sempre pieno ovviamente di bambini, che sono i più fragili e i primi a morire se non sono reidratati. E ogni pioggia aumenta questa epidemia… Abbiamo poi l’Ospedale pediatrico Saint Damien, che - e questo non è assolutamente un vanto, ma purtroppo è una realtà - è l’unico ospedale pediatrico dell’isola, nel quale passano 80 mila bambini l’anno: chi ricoverati, chi per un day hospital, chi per le emergenze, chi per gli interventi chirurgici, chi per le cure oncologiche, che non esistono nel Paese. Abbiamo un reparto maternità e neonatologia - nato proprio dopo il terremoto, perché sono crollate le poche cliniche che esistevano - che è diventato un punto di riferimento nel Paese. Ma ancora qui è bellissimo il frutto del nostro lavoro fatto da professionisti anche dell’Ospedale Buzzi di Miliano, dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, dell’Ospedale Del Ponte di Varese: professionisti italiani che hanno dato tutti il loro know how per farlo. Ma questo non dovrebbe essere un vanto, dovrebbe essere uno stimolo a farne altri di Ospedali Saint Damien. E poi abbiamo gli orfanatrofi a Kenscoff; vicino all’Ospedale Saint Damien e poi a Saint Louis la Baby House S. Anne, dove accogliamo in modo permanente circa 2.000 bambini che sono senza famiglia, che sono lì da noi e che vivono nelle nostre case, circondati dall’amore e dalla gioia, dove ricevono un’educazione e una alimentazione corretta grazie alle adozioni a distanza di tantissimi "padrini" che, per esempio, questo Natale hanno scelto di fare le vacanze lì.

D. - La Fondazione Rava è in prima linea nell’aiuto alla popolazione haitiana, però non è nemmeno da sottovalutare che voi date anche lavoro ad oltre 1.600 haitiani…

R. - Sì! Questa è la parte in assoluto più bella e che ogni volta commuove anche me! Questo noi lo facciamo a Francisville con "La Città dei Mestieri", dove insegniamo i mestieri ai ragazzi e dove andiamo anche a dormire quando siamo ad Haiti: è un piccolo "hotel", che si chiama "Villa Francesca", dove tutti noi dormiamo, pagando 25 dollari al giorno. Ci sono i ragazzi di strada che lavorano come camerieri, come ristoratori e vengono pagati. Ci sono tanti modi per dare loro un lavoro! Questo Natale ho pranzato con alcuni ragazzi che alcune persone generose dell’Italia hanno deciso di sostenere con delle borse di studio all’università… Tante volte uno è commosso dai bambini più piccoli, che sono anche la maggioranza in Haiti, proprio perché la mortalità è tanto alta e l’abbraccio di un bimbo piccolo ti conquista per sempre; ma anche avere davanti un ragazzo di 20 anni, con questi sguardi che nascondono storie incredibili… Hanno perso magari tutta la famiglia nel terremoto e ancora hanno voglia di combattere, di impegnarsi. Si sono iscritti all’università passando test che - in Italia ci si lamenta della difficoltà dei test... - qui in Haiti sono ancor più difficili, perché esistono pochissimi posti alla Facoltà di Medicina nell’Università di Haiti. Ecco, loro hanno voluto fare questo, scegliere una strada difficile e quando ho chiesto: “Ma come sono gli esami? Sono difficili? Fai fatica?”, perché anche le loro condizioni di vita sono sempre difficili, non è che hanno poi la poltrona per rilassarsi alla sera… Mi hanno detto: “No! Io sto perseguendo il mio sogno. Tutto, da quando sono entrato in università, è soltanto una strada in discesa!”.







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