4 anni fa il terremoto ad Haiti. Fondazione Rava: una tragedia dimenticata
Sono trascorsi 4 anni da quel terribile terremoto che distrusse Haiti, causando 230
mila morti ed oltre un milione di sfollati. Una tragedia immane, a cui sono seguiti
anche due uragani. Tutto questo ha minato la già fragile economia dell’isola e ha
causato numerose epidemie di colera. Una crisi dimenticata, quella haitiana, che però
interroga le coscienze su questo piccolo Paese caraibico, che ancora oggi vive una
tragedia infinita. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
12 gennaio 2010.
Alle 16.53 Haiti apre le porte all’inferno. Un terremoto di magnitudo 7.0 devasta
l’isola caraibica, causando oltre 220 mila morti ed un milione di sfollati. La capitale
Port au-Prince è ridotta ad un cumulo di macerie; migliaia di corpi senza vita giacciono
nelle strade per giorni. Peggio ancora la situazione nelle altre città, nei villaggi,
raggiunti dai soccorsi solo dopo molte settimane. Il sisma, infatti, ha fatto crollare
ponti, strade, gallerie. Ha reso inagibili chilometri e chilometri di strade. Ha causato
decine di frane. E a peggiorare la situazione due uragani devastanti. Alle macerie,
alle vittime del terremoto, alle migliaia di orfani che vagano per le strade senza
meta, si aggiungono centinaia di morti causati dal colera. Quello che è già il Paese
più povero del mondo, si trova a dover fronteggiare una tragedia immane, difficilmente
gestibile con le proprie forze. Scatta una gara di solidarietà internazionale che,
però, non riesce a rimettere in piedi il Paese. Oggi, infatti, a 4 anni di distanza,
Haiti è e resta un cumulo di macerie. L'inferno è ancora lì.
Sulle difficoltà
che ancora oggi vive Haiti, a distanza di 4 anni dal terremoto, Salvatore Sabatino
ha intervistato Maria Vittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca
Rava, NPH Italia Onlus, presente sull’isola da oltre 27 anni, con una serie di progetti
destinati ad aiutare lo sviluppo della popolazione haitiana:
R. - La situazione
è sempre difficilissima! E’ difficile anche descriverla a parole, perché soltanto
venendo qui ci si può rendere conto di come in questo angolo del mondo ci sia soltanto
immondizia, soltanto distruzione e soltanto disperazione. Non c’è cambiamento, nel
senso che le persone che hanno perso la casa sono ancora senza casa: vivono nelle
loro tende, in baracche… Non c’è stata una ricostruzione del Paese!
D. - Ricordiamo
tutti la gara di solidarietà internazionale scattata all’indomani del sisma: ha poi
portato qualche risultato o sono state solamente promesse, poi non mantenute?
R.
- Quello che posso dire è che - per esempio - nel nostro caso ciò che è stato raccolto
è stato messo a buon fine, ma immediatamente: non abbiamo dovuto aspettare anni. Ha
dato frutti dei quali io stessa mi stupisco ogni volta che vado: migliaia e migliaia
di bambini aiutati ogni giorno, bambini che sono rimasti orfani dopo il terremoto
e che avrebbero probabilmente vissuto per strada, senza alcun aiuto. In generale c’è
stato sicuramente qualche meccanismo che non ha funzionato bene. Non sono io a doverlo
dire, perché noi siamo una "piccola pedina", ma con tutti i soldi che sono stati raccolti
e suddivisi pro capite per gli otto milioni di abitanti di Haiti si sarebbe potuto
fare qualcosa di più: anzi molto di più! Per questa popolazione che lo merita, lo
merita assolutamente perché hanno voglia di fare: quando tu dai loro una chance, un
lavoro, sanno veramente dare il massimo e recuperare. Lo vedo nei ragazzi che conosco
e che seguiamo con le borse di studio. E’ incredibile, è commovente: ogni volta torno
a casa e penso: “Abbiamo fatto molto poco!”.
D. - Le emergenze maggiori riguardano
purtroppo, ancora oggi, i bambini: voi come intervenite nel concreto su questo fronte?
R.
- I nostri progetti si concentrano proprio sui bambini anche perché c’è un’altissima
malnutrizione, che è ancora la prima causa di mortalità. Manca l’acqua, manca l’igiene,
manca l’acqua potabile. Abbiamo un centro anticolera - che è nato dopo la prima epidemia
- che accoglie 20 mila pazienti l’anno ed è sempre pieno ovviamente di bambini, che
sono i più fragili e i primi a morire se non sono reidratati. E ogni pioggia aumenta
questa epidemia… Abbiamo poi l’Ospedale pediatrico Saint Damien, che - e questo non
è assolutamente un vanto, ma purtroppo è una realtà - è l’unico ospedale pediatrico
dell’isola, nel quale passano 80 mila bambini l’anno: chi ricoverati, chi per un day
hospital, chi per le emergenze, chi per gli interventi chirurgici, chi per le cure
oncologiche, che non esistono nel Paese. Abbiamo un reparto maternità e neonatologia
- nato proprio dopo il terremoto, perché sono crollate le poche cliniche che esistevano
- che è diventato un punto di riferimento nel Paese. Ma ancora qui è bellissimo il
frutto del nostro lavoro fatto da professionisti anche dell’Ospedale Buzzi di Miliano,
dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, dell’Ospedale Del Ponte di Varese: professionisti
italiani che hanno dato tutti il loro know how per farlo. Ma questo non dovrebbe
essere un vanto, dovrebbe essere uno stimolo a farne altri di Ospedali Saint Damien.
E poi abbiamo gli orfanatrofi a Kenscoff; vicino all’Ospedale Saint Damien e poi a
Saint Louis la Baby House S. Anne, dove accogliamo in modo permanente circa 2.000
bambini che sono senza famiglia, che sono lì da noi e che vivono nelle nostre case,
circondati dall’amore e dalla gioia, dove ricevono un’educazione e una alimentazione
corretta grazie alle adozioni a distanza di tantissimi "padrini" che, per esempio,
questo Natale hanno scelto di fare le vacanze lì.
D. - La Fondazione Rava
è in prima linea nell’aiuto alla popolazione haitiana, però non è nemmeno da sottovalutare
che voi date anche lavoro ad oltre 1.600 haitiani…
R. - Sì! Questa è la parte
in assoluto più bella e che ogni volta commuove anche me! Questo noi lo facciamo a
Francisville con "La Città dei Mestieri", dove insegniamo i mestieri ai ragazzi e
dove andiamo anche a dormire quando siamo ad Haiti: è un piccolo "hotel", che si chiama
"Villa Francesca", dove tutti noi dormiamo, pagando 25 dollari al giorno. Ci sono
i ragazzi di strada che lavorano come camerieri, come ristoratori e vengono pagati.
Ci sono tanti modi per dare loro un lavoro! Questo Natale ho pranzato con alcuni ragazzi
che alcune persone generose dell’Italia hanno deciso di sostenere con delle borse
di studio all’università… Tante volte uno è commosso dai bambini più piccoli, che
sono anche la maggioranza in Haiti, proprio perché la mortalità è tanto alta e l’abbraccio
di un bimbo piccolo ti conquista per sempre; ma anche avere davanti un ragazzo di
20 anni, con questi sguardi che nascondono storie incredibili… Hanno perso magari
tutta la famiglia nel terremoto e ancora hanno voglia di combattere, di impegnarsi.
Si sono iscritti all’università passando test che - in Italia ci si lamenta della
difficoltà dei test... - qui in Haiti sono ancor più difficili, perché esistono pochissimi
posti alla Facoltà di Medicina nell’Università di Haiti. Ecco, loro hanno voluto fare
questo, scegliere una strada difficile e quando ho chiesto: “Ma come sono gli esami?
Sono difficili? Fai fatica?”, perché anche le loro condizioni di vita sono sempre
difficili, non è che hanno poi la poltrona per rilassarsi alla sera… Mi hanno detto:
“No! Io sto perseguendo il mio sogno. Tutto, da quando sono entrato in università,
è soltanto una strada in discesa!”.