Centrafrica: dimissioni del presidente Djotodia. Il Paese punta alla pacificazione
Svolta nella crisi centrafricana. Il presidente ad interim, Michel Djotodia, e il
suo primo ministro, Nicolas Tiangaye, hanno rassegnato le dimissioni. La decisione
è giunta dopo le forti pressioni dei Paesi dell’Africa centrale sul Parlamento di
Bangui, per fermare il conflitto che sta dilaniando il Paese. Sentiamo Giulio Albanese:
Si sono dimessi
dai loro incarichi il presidente ad interim e il primo ministro del Centrafrica, rispettivamente
Michel Djotodia e Nicolas Tiangaye. Hanno perciò ceduto alle pressioni dei governi
della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (Eccas) riuniti in Ciad
per un vertice che si è rivelato cruciale per il Centrafrica. Nella capitale, Bangui,
non appena la notizia è diventata di pubblico dominio, gran parte degli abitanti si
sono riversati nelle strade per festeggiare. Sono però risuonate anche sporadiche
raffiche di armi automatiche, a conferma di una tensione che rimane comunque elevatissima.
Djotodia era salito al potere nel marzo dello scorso anno con un colpo di Stato, destituendo
il predecessore, François Bozizé. Ben presto però Djotodia si era rivelato incapace
di tenere sotto controllo l’ondata di violenza etnica e settaria scatenatasi in Centrafrica,
che minacciava di propagarsi oltre i confini nazionali. Ha perso così ogni sostegno,
compreso quello del presidente ciadiano Idriss Deby, da sempre accusato di interferire
negli affari interni centrafricani. Primo presidente musulmano del Centrafrica, Djotodia
lascia la guida di un Paese disastrato. Neanche la presenza di 3500 peacekeepers dell’Unione
Africana e il dispiegamento di 1600 soldati francesi sono riusciti finora a riportare
la calma. Da dicembre vi sono stati almeno mille morti e il numero di sfollati è salito
a quasi mezzo milione.
Sugli ultimi sviluppi, ascoltiamo Don Mathieu
Bondobo, sacerdote centrafricano, al microfono di Antonella Pilia:
R. – Questo
annuncio, per noi, è l’inizio del cammino verso questa pace tanto attesa e tanto voluta
dal nostro popolo. Se siamo arrivati a questo punto significa che è necessario, perché
la situazione che il popolo del Centrafrica sta vivendo è davvero drammatica. Una
cosa mai vista, una sofferenza terribile! Una cosa drammatica nella storia di questo
popolo.
D. – Cosa sta accadendo nel Paese?
R. - I viveri che stanno
arrivando non bastano per coprire i bisogni di tutte queste persone che sono scappate
di casa e che vivono difficoltà molto forti… Quindi, c’è un allarme in questo senso.
Ci sono persone che non mangiano da 3-4 giorni, anche da una settimana, e soffrono
veramente la fame. Oltre alla fame, poi, c’è anche la difficoltà di curarsi, non soltanto
perché gli ospedali sono pieni, ma perché è anche complicato ricevere una cura: ad
esempio, è difficile che una persona ferita vada all’ospedale o che comunque riceva
una cura buona. Ripeto, la situazione è terribile, catastrofica!
D. – Ora quali
scenari si aprono, secondo lei?
R. – Il lavoro grande è ancora da fare, perché
uno si è dimesso ma non è detto che siamo già arrivati alla pace. Ci vuole l’impegno
di tutti quanti per arrivare alla risoluzione della crisi e ciascuno di noi ha la
consapevolezza della drammaticità della situazione. Io sono ottimista di poter arrivare
a questa pace che stiamo cercando da molto tempo. Certo è che chiunque verrà, chiunque
avrà questo posto di responsabilità, avrà anche addosso il futuro di questo popolo,
perché ha visto la sua sofferenza e ha ascoltato il suo grido. Quindi, ciascuno di
noi, ogni figlio e ogni figlia di questo Paese, credo sappia cosa significhi arrivare
alla pace, cosa significhi parlare dello sviluppo, di dialogo, cosa significhi darsi
da fare per questo Paese che ha tanto sofferto. Quindi, io sono ottimista – ripeto
– da questo punto di vista.