Siria: i rischi delle operazioni di smaltimento dell'arsenale chimico
Al Qaida in Siria ha rivendicato il rapimento di cinque operatori di Medici Senza
frontiere, quattro europei e un peruviano, avvenuto il 3 gennaio scorso nel nord-ovest
del Paese, sostenendo, in un comunicato ancora da verificare, che si tratta di "spie".
Liberati invece i due giornalisti svedesi rapiti in Siria lo scorso novembre. In attesa
della conferenza di pace "Ginevra 2" del 22 gennaio, continuano gli scontri armati.
I ribelli di diversi gruppi anti-Assad hanno espugnato ad Aleppo il quartiere generale
dei rivali miliziani qaedisti. Intanto la comunità internazionale guarda con apprensione
allo smaltimento dell’arsenale chimico di Damasco. Una nave danese, carica di gas
e liquidi, si sta recando in Italia, dove una unità americana prenderà in consegna
il materiale per poi renderlo inerte. Sui rischi di questa operazione, Giancarlo
La Vella ha intervistato il gen. Mario Arpino, capo di Stato Maggiore della
Difesa italiana dal 1999 al 2001:
R. – Gli esperti
si sono subito meravigliati quando sono stati annunciati tempi molto brevi per smaltire
un arsenale chimico così grande. La cosa non è affatto semplice, né sotto il profilo
procedurale, né sotto il profilo ecologico e ambientale. Diciamo che l’analogia è
un po’ quella che può essere fatta con lo smaltimento delle scorie nucleari: è molto
facile produrre questi materiali, ma è molto più difficile liberarsene.
D.
– L’arsenale chimico siriano verrà distrutto in mare. Ma siamo sicuri che non ci sarà
nessun effetto inquinante?
R. – Credo che non sapremo mai esattamente cosa
succederà di queste armi. Sicuramente, è importante che siano state portate fuori
dalla Siria: in un Paese così poco esteso sicuramente non avrebbero potuto essere
smaltite. Adesso, dovrebbero prenderle in carico navi americane – così è stato detto
– per smaltirle in acque internazionali. Anche qui, la cosa è sicuramente fattibile,
ma non è semplice. In genere le tecniche, ripeto, si rifanno a quelle delle scorie
nucleari, per cui vengono isolate, cementificate, oppure ricoperte di vetro e isolate
in questo modo. Certo, una volta liberato, questo gas da qualche parte va a posarsi,
anche se i tempi di dissolvimento sono infinitamente più rapidi di quelli delle scorie
nucleari.
D. – Quindi, non possiamo dire in senso tecnico che i gas o i liquidi
chimici su cui si opera verranno resi inerti? Cioè, saranno sempre attivi sia pur
neutralizzati…
R. – Sì, saranno sempre attivi, ma non in grado di nuocere.
Invece, i materiali che sono già immagazzinati, cioè già stivati dentro le bombe esplosive,
naturalmente non possono subire questo processo: gli ordigni devono essere fatti brillare
e questo verrà fatto in un luogo aperto, in un luogo molto lontano, in grandi distese
o in fondo al mare: può essere anche questo un metodo per farlo. E, naturalmente,
la degradazione avviene nell’ambiente, poi: marino, aereo o terrestre che sia. E questo
avviene in tempi rapidi, in 24/30 ore, non c’è più traccia. Più difficile, invece,
è smaltire le riserve liquide o chimiche di questi armamenti: in questo caso, appunto,
si parla di trattamento analogo alle scorie nucleari.
D. – Qualche pericolo?
R.
– Non direi. Certo, in un momento in cui si parla tanto di ecologia, fa specie pensare
che si possa dissolvere nell’ambiente materiale così pericoloso…