Iraq: si combatte a Falluja ancora nelle mani di Al-Qaeda. In fuga migliaia di civili
Ancora sangue in Iraq. E' di almeno 13 militari uccisi e altri sette feriti il bilancio
di un attacco contro una caserma dell'Esercito iracheno a Baquba, capoluogo della
provincia centro-orientale di Diyala, tra le piu' instabili del Paese: lo riferisce
l'emittente tv satellitare Al Jazira. Sette donne e 5 uomini sono stati uccisi martedì
a Baghdad, nel quartiere orientale di Zayuna, mentre a un posto di blocco a Samarra,
a nord della capitale, uomini armati hanno ucciso 7 poliziotti. Sono gli ultimi episodi
di sangue registrati dopo giorni di grandissima tensione per la conquista da parte
di uomini di Al-Qaeda della città di Falluja, che dista circa 50 chilometri da Baghdad.
L’esercito regolare sta ancora tentando di riprendere il pieno controllo della città,
dove anche ieri si sono verificati scontri. Secondo la Mezzaluna Rossa migliaia di
civili sono fuggiti dalla città. In ogni caso resta una situazione di grande instabilità.
Fausta Speranza ne ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi
strategici alla Luiss:
R. – All’atto
del ritiro americano dall’Iraq si pensava che il governo di Baghdad sarebbe rimasto
fedele al progetto di creare un sistema di divisione del potere abbastanza inclusivo
e rispettoso delle aspettative dei sunniti. Questo, in effetti, era stato uno dei
risultati ottenuti dagli americani. Qualcosa deve essere andato storto dopo il rimpatrio
del contingente americano e questo ha sicuramente contribuito a permettere agli elementi
jihadisti di tornare forti nel cosiddetto “triangolo sunnita”, in cui comunque Al-Qaeda
aveva avuto problemi in virtù dell’estremismo delle sue politiche. Quindi, c’è una
situazione molto complessa: il governo iracheno vuole ripristinare la sovranità su
queste zone sfuggite al suo controllo e all’interno di queste zone operano anche milizie
che intendono sgombrare l’area da Al-Qaeda senza, per altro, sottomettersi al governo
di Baghdad. In questo momento c’è molta confusione.
D. – Al di là dell’emergenza
Falluja, quanto è preoccupante ancora la minaccia di Al-Qaeda in Iraq?
R. –
In realtà, sicuramente c’è un grosso problema che deriva anche da questa convergenza
che si è verificata tra gli elementi qaedisti, operanti tanto in Iraq quanto in Siria.
Ma tutto ciò riflette anche un problema di fondo, cioè che in questi Paesi non si
è riusciti a creare un sistema di governo soddisfacente anche per tutti coloro che
sono rimasti in qualche modo esclusi dalla gestione del potere ed i cui diritti spesso
non hanno trovato adeguata soddisfazione nelle politiche dei rispettivi governi.
D.
– Quanto la situazione in Iraq va pensata nel contesto del dramma della Siria?
R.
– Ci sono dinamiche locali e dinamiche regionali. Ritengo che la nuova politica americana
di riconciliazione con l’Iran abbia creato premesse differenti: non è un caso che
in questo momento gli Stati Uniti stiano sostenendo gli sforzi del governo di Baghdad,
tesi a recuperare il controllo sul “triangolo sunnita”; ma di qui ad immaginare un
coinvolgimento più forte occidentale e statunitense in primo luogo sul terreno ce
ne corre. Ritengo che si cercherà di rimanere il più possibile esterni a quanto accade
in questi territori, sperando che un equilibrio di forza e di potenza soddisfacente
riesca ad emergere sul terreno da sé.