2014-01-07 15:46:59

Tunisia: nuova Costituzione pari diritti alle donne. Prof. Papa: "Passo rilevante"


A tre anni dall’inizio della primavera araba, la Tunisia si sta dotando di una nuova Costituzione che sembra allontanare i timori di una svolta islamica fondamentalista. La Carta è all’esame dell’Assemblea costituente, che prevede di adottarla entro il 14 gennaio, terzo anniversario della rivoluzione contro il deposto presidente Ben Ali. Nel nuovo testo è sancita la natura laica dello Stato, il divieto della tortura, la libertà di opinione, pensiero, espressione e informazione, oltre che la parità legale dei sessi approvata ieri. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Massimo Papa, ordinario di Diritto musulmano e dei Paesi islamici, all’Università Tor Vergata di Roma:RealAudioMP3

D. – Prof. Papa, un aspetto – questo della parità legale dei sessi – certo importante per i diritti umani delle donne, sovente ignorati in molti Paesi arabi...

R. – A me sembra che sia un fatto assolutamente rilevante. Innanzitutto, perché conferma – o per lo meno consolida – una tradizione di natura laica della stessa Tunisia, già avviata ai tempi degli anni Cinquanta, con Habib Bourguiba. Ricordiamo che la Tunisia è stata da sempre additata come il Paese più avanzato, più moderno sotto il profilo del diritto di famiglia, avendo già dagli anni Cinquanta abolito istituti tipici del diritto tradizionale islamico, come il ripudio, la poligamia e concesso il divorzio a pari condizioni. Certamente, rimaneva anche lì una rivoluzione incompiuta, se si considera – ad esempio – che tutto il diritto successorio rimaneva ancora fortemente radicato nelle regole sharaitiche. Fatto sta che questo articolo 20, così come approvato ieri – il fatto che tutti i cittadini e le cittadine abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri e che siano uguali innanzi alla legge, senza discriminazione alcuna – è una pietra miliare nello sviluppo di un ordinamento sulla via della democratizzazione.

D. – Perché, allora, ci sono state critiche da parte di organizzazioni umanitarie?

R. – Perché si sarebbe, magari, voluta una formula più specifica con il riconoscimento e l’attribuzione di diritti e anche divieti e discriminazioni fondati magari su motivi di razza, religione e sesso. La verità è che si tratta di una formula un po’ di compromesso tra le forze più moderniste, laiche e le forze legate a al-Nahda, cioè alle forze islamiche radicali. Qualche anno fa, circolò un progetto di riforma della Carta costituzionale tunisina che avrebbe dovuto sancire la complementarietà delle donne rispetto all’uomo: complementarietà è un concetto proprio tipico del diritto tradizionale islamico secondo il quale la donna non è perfettamente uguale, ma è complementare al marito.

D. – Lei crede che questa svolta liberale sia il frutto politico di un dibattito interno o piuttosto da collegarsi alla "lezione" egiziana?

R. – Entrambe le cose, per la verità. Io credo che l’adozione di principi di sharia all’interno della Costituzione abbia una valenza non soltanto giuridica, ma fortemente politica, in considerazione dello stretto collegamento della natura tra diritto e religione. La sharia è la legge sacra dell’islam e comporta la reintroduzione dei valori della morale e della religione islamica all’interno dell’ordinamento. Il fatto che non sia stata adottata la sharia tra le fonti del diritto, rappresenta sicuramente un punto di svolta e un freno alla deriva islamica che invece ha avuto luogo nei Paesi confinanti, a cominciare – appunto – dall’Egitto con le note vicende che tutti conosciamo, ma anche nella stessa vicina Libia dove, invece, per la prima volta i principi della sharia vengono introdotti nella Carta costituzionale. Sicché, la Tunisia sembra confermare invece questa tendenza in quel solco della tradizione moderata dell’islam, esattamente come ha fatto il Marocco con la Costituzione nel 2011: nel preambolo della Carta costituzionale, il Marocco si richiama alla tradizione islamica moderata. Cosa debba essere, poi, di fatto e come debba essere interpretata, questo è tutto un altro problema, appunto, di interpretazione del Supremo Consiglio degli Ulema. In Tunisia, invece manca un organo religioso di riferimento, ma sarà la Corte costituzionale poi, di volta in volta, a riempire di contenuto le norme costituzionali.

D. – Quindi, un processo di democratizzazione che va anche incoraggiato, sostenuto e vigilato dall’estero?

R. – Io in queste forme di tutorato e di tutela credo poco. Una democrazia è saldamente radicata soltanto se nasce dall’interno e se è fortemente condivisa. E’ chiaro che, in questo momento, in Tunisia c’è un dibattito molto articolato, assai vivace, sulle varie posizioni di correnti islamiche radicali e correnti più riformiste. Certamente, la crisi economica – che pure ha investito la Tunisia, evidentemente – è uno dei fattori che il prossimo governo dovrà tenere in considerazione. L’islam può costituire infatti una bandiera attorno alla quale stringersi nei momenti di crisi e di sofferenza, anche economica. La religione è capace di dare dignità a un popolo che per oltre 50 anni ha subito una forte dittatura, con la complicità anche dell’Occidente, questo non occorre negarlo. Questi regimi sono stati tenuti in sella con la connivenza e la complicità dei Paesi occidentali. Poi, improvvisamente si è scoperto che anche le popolazioni arabe avevano diritto a proprie rivendicazioni democratiche… Questo significa, però, che sarà un processo lungo.

D. – Quindi, un processo di democratizzazione che ha e avrà i suoi tempi di maturazione…

R. – Assolutamente. Quello che mi preme sottolineare e che spesso sfugge all’occhio occidentale, ai non addetti ai lavori: il fatto che ci siano delle posizioni all’interno della società, soprattutto tunisina. Penso a Yadh ben Achour o ad altri intellettuali che da sempre lottano per un’interpretazione moderna dell’Islam e della tradizione giuridica islamica. Ci sono posizioni molto, molto articolate, non così facilmente riconducibili ad uno schieramento islam radicale e modernista, ma questo è frutto – appunto – di un dialogo che ha appena preso le mosse e che richiederà i propri tempi. E forse l’Occidente dovrebbe osservare, con il dovuto rispetto, questi tentativi che si stanno compiendo dall’interno.







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