Strasburgo condanna l'Italia: un diritto il cognome materno. Il parere dell'avvocato
Cerrelli
Anche i genitori italiani devono avere il diritto di dare ai figli il solo cognome
della madre. Lo afferma la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo con una sentenza
che condanna l’Italia per aver negato tale diritto ad una coppia di Milano e impone
l’adozione di misure legislative o di altra natura per rimediare alla violazione.
I giudici europei definiscono anche non sufficiente, per superare la discriminazione
verso le donne, la possibilità introdotta già nel 2000 di aggiungere a quello paterno
il cognome della madre. Per un commento alla sentenza, Adriana Masotti ha sentito
l’avvocato Giancarlo Cerrelli, vicepresidente dell’Unione Giuristi cattolici
italiani:
R. – Io, questa
novità la vedo da una parte in modo positivo perché non si fa altro che legittimare
la parità dei coniugi anche a donare il proprio cognome, soprattutto in determinate
situazioni. Però, io riscontro anche dei rischi, dei lati negativi. Primo: il fatto
che ci venga dall’Europa l’obbligo di dover legiferare e cambiare la nostra tradizione:
questo non mi piace tanto, perché sarebbe stato più opportuno che il nostro Stato
ci fosse arrivato per gradi e senza alcun obbligo dall’Europa. Secondo: il cognome
paterno, in una famiglia legittima, ha un interesse: ha l’interesse alla conservazione
dell’unità familiare, così come tutelato dall’articolo 29. E quindi, io credo che
questa nuova possibilità possa creare anche un qualche disagio dal punto di vista
anagrafico. Infatti, di solito il cognome paterno è quello che crea l’identità della
famiglia, ed è importante soprattutto in un momento in cui la famiglia sta diventando
un cellula sempre più liquida. Questa novità potrebbe essere anche un passo in più
per procedere verso questa dissoluzione della famiglia legittima. E da questo punto
di vista credo che ci sia poi anche un altro pericolo: oggi sentiamo molto spesso
donne dire: “Io voglio un figlio tutto per me. Non mi interessa sposarmi, non mi interessa
avere un uomo, voglio avere un figlio”. Quindi, si apre la strada anche ad altri tipi
di situazioni che lascio immaginare, per fini non sempre orientati al bene del figlio.
D.
– Tra i rischi che possiamo vedere, ci può essere anche quello di un indebolimento
della figura paterna, che oggi è già abbastanza indebolita, in quanto ad autorevolezza,
oppure anche riguardo a decisioni come l’aborto, ad esempio, in cui non è detto che
abbia voce in capitolo …?
R. – Sì. Noi oggi abbiamo invece bisogno di recuperare
la figura paterna perché è una figura identitaria, è una figura importante di riferimento
del figlio. Oggi si parla tanto di assenza del padre: e allora, sembra che si stia
andando verso una irrilevanza dell’uomo nel contesto familiare. Io capisco bene che
la mater semper certa est, e quindi sappiamo che questo è l’unico riferimento
certo. Però, questo togliere non la potestà – perché rimane – ma il cognome paterno,
in definitiva credo farebbe male soprattutto ad un figlio che perderebbe in qualche
modo anche l’identità della propria origine, della propria genealogia.
D. –
In Italia, a livello giuridico esiste ancora il concetto di capo famiglia e in che
termini?
R. – Diciamo che il nostro ordinamento prevede che i genitori abbiano
la potestà familiare: entrambi i genitori hanno una potestà familiare. Quindi, la
famiglia prende il nome del marito, dell’uomo ma non c’è più il capo famiglia nel
senso che l’uomo ha una potestà e invece la donna ne ha di meno: la riforma del diritto
di famiglia del 1975 ha dato potestà ad entrambi i coniugi di avere – appunto – pari
poteri nei confronti dei figli.