Centrafrica. Un milione gli sfollati, ancora violenze. Una suora: la Chiesa lavora
per la pace
Nella Repubblica Centrafricana, continuano le violenze che contrappongono i miliziani
ribelli della Seleka e i gruppi armati detti anti-Balaka, malgrado la presenza di
truppe francesi e di una missione internazionale dell’Unione Africana. E Le Nazioni
Unite lanciano l’allarme umanitario. Sono ormai quasi un milione gli sfollati interni.
Il servizio di Davide Maggiore:
Un centrafricano
su cinque ha dovuto abbandonare la sua casa e nella capitale Bangui il 60% delle persone
in fuga dagli scontri sono bambini. Chi può chiede accoglienza a famiglie di amici
o parenti, altri cercano riparo vicino ai luoghi presidiati dalle truppe internazionali,
come l’aeroporto della capitale. In più, 240 mila centrafricani sono ufficialmente
rifugiati negli Stati confinanti. Le Nazioni Unite pensano ad un piano del valore
di 152 milioni di dollari, per affrontare in cento giorni l’emergenza umanitaria all’interno
del Paese, ma far arrivare operatori e aiuti nei territori più distanti dalla capitale
è in alcuni casi praticamente impossibile, viste le condizioni di sicurezza. L’organizzazione
non governativa Medici Senza Frontiere ha annunciato che ridurrà il suo personale
presente a Bangui, perché il rischio è troppo alto. Anche a Berberati, seconda città
del Paese, la situazione è drammatica, come racconta una missionaria cattolica, suor
Elvira Tutolo, delle Suore della carità di Santa Giovanna Antida:
“Noi
siamo sommersi da persone che vengono dai luoghi dove questa ribellione è passata.
Molte persone sono venute qui a Berberati, soprattutto da Bangui. Berberati si trova
sprovvista di tutto: l’ospedale non ha più nemmeno i reattivi, mancano le medicine
e la possibilità di accogliere a livello sanitario. Dobbiamo dire grazie perché qui
a Berberati accolgono questi loro fratelli che arrivano. Ma la difficoltà è tanta,
perché in una famiglia in cui ci sono già circa 13 persone e ne arrivano altre 5 o
10, la situazione è veramente di sopravvivenza”.
Le tensioni nel Paese
stanno coinvolgendo anche migliaia di persone di nazionalità ciadiana che si trovano
in Centrafrica: 12 mila di loro sono stati rimpatriati negli scorsi giorni. Chi viene
dal Ciad, infatti, rischia di essere identificato come un ribelle. Ancora suor Elvira:
“Quando
i Seleka sono arrivati – ed erano ciadiani - chiaramente è stata fatta questa identificazione
'Seleka uguale ciadiani', perché effettivamente si trattava di ciadiani e sudanesi.
Certo, la popolazione civile ciadiana non ha nessuna colpa. E’ un problema che è stato
creato con l’arrivo dei Seleka. Sono soltanto dei mercenari, dei violenti”.
In
questo contesto, i leader delle diverse comunità religiose continuano a lanciare appelli
alla pace, alla tolleranza e al dialogo, come già avvenuto negli scorsi mesi. Ecco
la testimonianza di suor Elvira:
“Il vescovo sta lavorando moltissimo nel
fare tutta una serie di riunioni tra i capi musulmani ed i responsabili della Chiesa,
proprio per invitare tutti, nell’eventualità di uno scontro, a non reagire”.